Breve storia della "riconquista" dello Scudetto di Guerra, vinto dai VVF della Spezia nel 1944
29-08-2015 12:09 - Archivio news dalle Sezioni 2009-2021
Testamento biologico di uno scudetto (1944, medicina per la memoria)
di ARMANDO NAPOLETANO
Era il mattino del 10 ottobre del 1991, nel mio ufficio intorno alle ore 11 si presentò un signore, viso scavato, voce forte, un quadro sotto il braccio; chiese educatamente chi fosse Napoletano e dove lo potesse trovare. Fuori pioveva, di quell´acqua che ti entra addosso e nell´anima e che non te la levi facile. Quando me lo trovai davanti mi disse solo: "Mi deve una parola". Parola un termine strano; molti, compreso noi giornalisti vi ci arrampichiamo spesso, ne´ parete ne´ montagna mai scalata ne danno il senso, ne´ sogno mai ricordato. Solo la farfalla assomiglia vagamente alla parola per quanto sfugge, ma lenta. Lo avevo cercato io al telefono per la verità, per un´intervista, volevo ricordare la sua figura, ma lui era interessato ad altro e quella telefonata non bastava. "Mi deve un parola". La concessi, durò quanto una partita. Mario Tommaseo rimase lì ben oltre la linea di demarcazione del pranzo, era partito col pensiero e con la parola, ma non ci circondava un vuoto di spettri, anzi, tutto era limpido. Ha ragione chi dice che il calcio sia un libro che noi leggiamo periodicamente, e dal quale escono personaggi che poi entrano nella nostra vita. Tommaseo entrò nella mia. Mi chiese di scrivere di uno scudetto che non gli avevano riconosciuto, di una partita, di una fiaba, che non era una vera storia ma un sentimento, in tutto e per tutto. Mi chiese di realizzare qualcosa per lo Spezia ed i Vigili del Fuoco del 1944 e lo fece con quell´ardore che lo aveva contraddistinto sul un palco nel cantare, in campo a rincorrere centrocampisti, davanti ad una tela. Era arte. Chiese di correre anche a me, col pensiero. Lo guardavo e pensavo: "Si può invecchiare così meravigliosamente vivi?". Il giorno dopo tornò, e lo fece anche il terzo successivo, ma era sabato, e trovò tutto chiuso. Quella partita per lui non finiva mai. La storia di quel campionato mi era nota, ma non così nota. Cominciai a cercare, specie in biblioteca, i pezzi scritti negli anni, da colleghi; trovai un articolo del Tirreno di Tarcisio del Riccio, altri di Rino Capellazzi, o di Fulvio Magi, gli appunti di una serata al Panathlon. Serviva di più, la Brera a Milano. Poi politici e dichiarazioni di maniera, di chi si era fondamentalmente sciacquato la bocca con quella storia, ma poi l´aveva sputata. Ma dovevo partire, perchè quel racconto non passasse nel rimescolio delle onde del mare, ma rimanesse nel marmo. Richiamai io Mario, e mi volle a casa sua. Ci aprì una signora minuta che andò in buon ordine in cucina, mentre lui, nel suo studio, scopriva giornali, carte, ritagli e tele, pagine ingiallite ma conservate bene. Ebbi anche il numero di Paolo Rostagno, lo contattai, ci vedemmo la mattina seguente ai primi di novembre; poi cercai Sergio Angelini, quello delle due reti al Torino. Mi disse con una voce rauca toscana, che il lunedì successivo doveva passare per l´ospedale Sant´Andrea e che mi avrebbe raggiunto. Lo fece, venendo in redazione, allora ero un semplice cronista de la Nazione. Lo accolsi nello stanzino sul retro, dove lavoravano i poligrafici. Girammo un´intervista, mi spiegò tutto, con una mano gesticolando, con l´altra tenendo le sue analisi, impietose, che lo avrebbero portato nello stadio dei Sogni dopo non molto. Anche quella, disse lui, era una partita. Ma sapeva sarebbe diventata dipartita. Poi contattai la famiglia Persia, e parlai con il figlio di Wando, Giampiero, persona splendida, e conobbi Licia Cardellini, la moglie del capitano. Mi accolsero in casa come fossi un amico, e parlammo, parlammo, tanto da riempire tre notes. Mi mandarono dalla zio, Sergio, che aveva giocato con Wando in quella squadra. Poi mi contattò Sergio Bicchielli, che aggiunse molto al racconto, lui che era un po´ il ragazzino del gruppo. E lo fece anche una dolcissima signora, Cloe, la moglie di veleno Amenta. Furono due mesi stupendi, dentro una storia, dentro un spogliatoio, dove si consuma il rito del calcio. Era cronaca, e se hai un cuore, non è mai fedele. La signora Cloe Amenta ci accolse a Fezzano, a parlammo attorno al tavolo, quel tavolo, diceva lei, sul quale la sera Carmelo stendeva il cinturone da Vigile, perché "nel caso di una retata, la Gestapo avrebbe notato in casa per primo quello". Cloe parlò lentamente ma in maniera forte, raccontando una vita ed un amore, quello eterno per il marito, mediano in campo. Un lampo mi condusse a Rapallo dove un signore attempato mi regalò 30´ non di più, seduti su una panchina; Bruno Gramaglia viveva così, velocemente, ma con saggezza, non sprecava parole e minuti. Seguiva una strada. Grazie a Sergio Curletto riuscii a parlare anche con i figli di Giovannino Costa, che vivevano a Vicenza. Vennero fino a Lerici per raccontare e aggiungere qualcosa ad una tela, che di per se era solo affascinante viverla. Loro mi davano in appalto idee, sensazioni, momenti di vita, dovevi solo tradurli. Iniziò allora una enorme ricerca storica sui fatti sul tempo, sul campionato, ma documenti se ne trovavano raramente. Qualcosa spuntò fuori. Ma quando si parlò di coppa entrammo in mille dubbi; dov´era quella consegnata a Semorile e Barbieri? Il figlio di Ottavio viveva a Genova, ci raggiunse alla Spezia, anche lui per parlare. Anche lui aiutò molto tutta la struttura. Ma la coppa, dov´era? Un pomeriggio chiesi udienza al Comando dei Vigili, parlai con il Comandante, sapeva poco di tutto ciò. Mi affidò ad un uomo baffuto ed energico, credo si chiamasse Cossu. Non facevo fatica a vederlo Pompiere. Mi portò in un sottoscala dove c´era un mobile in vetro e dentro, ammassate, tante coppe. Trofei di ciclismo, iniziative amatoriali. Poi, sotto a tutte queste, malmessa e chissà da quanto lì, la Coppa del 1944, confusa tra trofei ciclistici. La presi e la pulii con lui, consigliai di tenerla fuori; scattai molte foto, e quando tornai pochi giorni dopo, quel Cossu ebbe l´accortezza di portarla in un ufficio, lasciandola in vista ma sorvegliata un minimo. La maggior parte di coloro che lì operavano non sapeva. Fatta la mia valigia da cronista, messo tutto insieme, sviluppato un occhio profondo di fantasia, immaginato una partita come Spezia-Torino e la sua cronaca, andai da un amico, il professore. Si chiama Salvatore Di Cicco, è un uomo coraggioso soprattutto, ne porta le cicatrici addosso di quel coraggio; spiegai il progetto, un libro che rimettesse all´attenzione di tutti quello scudetto mai assegnato. Avevo trovato un altro sognatore. Di Cicco, uomo abruzzese, ha quell´impeto che è caro a chi ha la letteratura nel sangue, l´istinto dell´impresa e della parola; disse si, la settimana dopo consegnai un floppy disk con dentro tutto. Tre giorni dopo, eravamo a novembre, nacque la prima stesura di "Un Giorno di Allarmi Aerei" che riproduceva nel titolo proprio quell´articolo che avevo letto per primo, del collega toscano Tarcisio Del Riccio. Il testo arrivò a vendere circa 1000 copie in pochi mesi, ne parlarono anche i giornali nazionali, meno quelli locali, profeti in patria non si è mai. Arrivai a Roma, alla Federazione, e mandai il testo a Matarrese, che promise di leggerlo e vagliare la cosa. Era il luglio del 1992, più o meno, ma questa non è storia di date. Non fece nulla. Anche grazie a Tuttosport passarono gli anni con vari articoli sul tema, rimanevano punto morto, quella partita che avevamo riaperto non vedeva mai il fischio di inizio. Poi nel 1999, è ottobre, succede qualcosa; Giorgio Pagano, Sindaco della Spezia, durante un convegno, parla di quella squadra e dice che non ´capisce come mai non si possa riaprire il caso´. Sette giorni dopo, è una mattina, sono circa le 12, ricevo una telefonata da Paolo Garbini, allora Assessore:"Pagano vorrebbe trovare materiale e notizie su quell´impresa del 1944, vorrebbe contattarti, ci dai una mano". Un collega, Paolo Ardito, futuro caporedattore del Secolo, gli aveva consigliato di parlare con me. Alle 15 ero in Comune davanti a Garbini, offrendo ogni tipo di collaborazione, avvisando Tommaseo. Passano due mesi e si organizza al Centro Allende un convegno, su quello scudetto mai riconosciuto, si vuol ripartire con un comitato, per provare o sondare il terreno. Vengo chiamato a parlare, spiego cosa ho in mano e cosa si può fare. Mancano documenti; in Emilia, meglio non precisare, dicono ci sia una sede della FIGC dove hanno molto di quei comunicati. Riesco in maniera avventurosa ad avere fotocopie, 150 pagine, dentro c´è tutto della storia e di quei giorni. Ne consumo la lettura in una notte. Fino Fini, che si occupa del museo di Coverciano e del materiale della Federcalcio italiana, mi dice no, non si può visionare un bel nulla alla FEDERCALCIO a Roma. Il Comitato vive, parte un movimento di opinione che raccoglie oltre 5000 firmatari. Insieme a Paolo Rabajoli mi reco a Coverciano a parlare con Valitutti e con Nizzola, la Nazionale Italia si sta allenando davanti a noi per andare agli europei del 2000 in Olanda. Altri si muovono ma il grosso del sistema sono i documenti. Sul tavolo di Valitutti riverso uno stadio, le firme di una città intera, non può non ascoltare. Una mattina mi reco nello studio dell´avvocato Franco Ferri, porto materiale, inviamo a Roma una richiesta formale, un´istanza. Scrive anche il Sindaco, finchè arriva dalla FIGC il fax più bello ed inatteso della storia: hanno riaperto il caso. Nominano una commissione di indagine e vogliono confrontarsi, ci sarà anche un´audizione. Che avviene il 17 luglio del 2000 in via Allegri a Roma. Tanta gente che arriva dalla Spezia, da Merlo a Pagano a Ricciardi a Campagni ai dirigenti stessi, ci sono anche Zanoli e Rocchi per lo Spezia; ad un certo punto, in quella che sembra una parata, i politici non capiscono mai la differenza tra un corner ed un dibattito, uno dei delegati della Federazione, l´avvocato Persichelli, una pertica d´uomo, dice chiaramente:´Ma al di là delle parole avete altro ?´. Pagano fa una mossa intelligente:"Nessuno dica più nulla, vorremmo far parlare un giornalista". Mi gira la parola, inizia una vera partita che dura poco meno di 90´. Dirà Pagano alla fine :"Pensavo oramai la assumessero´. Si va sui particolari, su domanda specifiche, si chiedono documenti, sembra un vero processo, qualcosa di forte. Ad ogni obiezione vedi 12 occhi che si girano verso di me, come per dire ´ e ora?´. La Federazione non sembra intenzionata a star lì a regalare medaglie, Goldoni altro avvocato, fa chiari riferimenti alla sostanza. Finchè dopo che un documento, proprio tra quelli rilevati a Bologna, apre altre verità, la FEDERCALCIO capisce che dopo anni non può più nascondere. Valitutti riferisce convinto: "Fosse per me, dipendesse da me, lo assegnerei, ma non dipende solo da me", e guarda il resto della commissione, gli altri 4. Pennacchia, un collega storico che è lì per la FIGC, fa capire che bisogna trovare una soluzione:"E allora facciamone una questione d´onore´. Ma il governo federale non c´è, nella realtà nessuno può decidere, leggere quello che esce dall´istruttoria. In tanti, Petrucci compreso, terranno la cosa in tasca senza la necessità di visionarla, prima che arrivi un presidente. Sarà Carraro, il 22 gennaio del 2002 a sancire il titolo onorifico. L´Ansa arriverà nel primo pomeriggio, mi emoziono a sentire al telefono tutte le chiamate al mio cellulare. Dopo anni un riconoscimento: poi la festa del Civico, una targa che mi viene consegnata da Macalli tra gli altri. Un regista che viene da Roma per girare un film ´Spalti di guerra´ e che rimane in città con me 10 giorni. Poi ancora quella onorificenza, avere sulle maglie un tricolore per sempre, unica squadra in Italia. Nessuno è profeta in patria, e le cose si fanno non per i lustrini, ma per regalare qualcosa a chi resta. Diventa un fatto di molti, curiosa la telefonata di un politico che anni prima aveva letto un libro scritto da un collega bolognese: "Vorrei salire sul carro dei vincitori please"- mi dice al telefono urlando-" sono anni che dico che quello scudetto deve essere dato allo Spezia, da quando lo diceva quel libro" .Che per inciso, per chi lo ha letto, dice proprio l´opposto, non venga riconosciuto niente, please. Si, ci sono altre persone che collaborano, ma dall´esterno, dire che si sono sbattute per trovare anche un solo documento fa ridere. Ma loro lo diranno. Nel 2012, un altro tifoso, Alessandro Botti, visita l´Arena di Milano, e vede delle targhe affisse nell´atrio del palco centrale. Mi chiama, mi dice che si potrebbe ricordare quella partita proprio lì, scolpita. Ne parla con un altro storico tifoso, Alberto Pandullo, che ha fatto parte del comitato per lo scudetto. Lui apre dei contatti col Comune di Milano che chiede un rendering, la scritta e garanzie. E´ un altro tifoso ancora, Paolo Peveri a disegnare il tutto ed a mandarlo a Milano, chi scrive queste righe che leggete invece, compone la targa lettera per lettera. Una bellissima manifestazione alla presenza del sindaco Massimo Federici incorona l´evento della scoprimento della lapide. Ma viene premiato il solo Pandullo, bontà sua e del Sindaco. Pandullo che sarà anche tra i promotori della festa del settantennale, registrando anche un copyright del logo. Ma anche in quel caso, tutto quello che avete letto prima non compare mai, dimenticato. Colpevolmente.
Quello che resta è uno scudetto sulle maglie, a futura memoria, la forza dei tifosi di appoggiare quell´iniziativa, un libro "Un Giorno di Allarmi Aerei" che di fatto riaprì il caso, un professore coraggioso, un vecchio Spezia-Viareggio ed una curva tricolore, ma anche la memoria corta di politici e sportivi. L´Italia è la patria della falsa commedia, recitavano tanti attori. Basta però tirare giù un sipario per guardare in faccia quelli veri.
Ps. Il Comune nel frattempo ha intitolato in tutto silenzio lo slargo davanti alla piscina Mori a questa storia, dicono senza neanche registrarlo nella toponomastica. Messo così com´è, capiamo anche il perché. Anche questo a futura memoria.
http://www.vigilfuoco.it/sitiSpeciali/viewPage.asp?s=2&
p=6721
Della MITICA SQUADRA facevano parte, tra gli altri, Giuseppe Castellini, portiere di riserva (in seguito, 3 stagioni in Serie A con il Genoa) e Paolo Rostagno, ala destra titolare (unico "vero" Vigile del Fuoco della formazione): nel 1972 dietro convocazione di Orlando Lorenzelli, furono tra i 162 Soci Fondatori della Sezione UNVS spezzina.
Fonte: UNVS La Spezia www.unvsliguria.it
di ARMANDO NAPOLETANO
Era il mattino del 10 ottobre del 1991, nel mio ufficio intorno alle ore 11 si presentò un signore, viso scavato, voce forte, un quadro sotto il braccio; chiese educatamente chi fosse Napoletano e dove lo potesse trovare. Fuori pioveva, di quell´acqua che ti entra addosso e nell´anima e che non te la levi facile. Quando me lo trovai davanti mi disse solo: "Mi deve una parola". Parola un termine strano; molti, compreso noi giornalisti vi ci arrampichiamo spesso, ne´ parete ne´ montagna mai scalata ne danno il senso, ne´ sogno mai ricordato. Solo la farfalla assomiglia vagamente alla parola per quanto sfugge, ma lenta. Lo avevo cercato io al telefono per la verità, per un´intervista, volevo ricordare la sua figura, ma lui era interessato ad altro e quella telefonata non bastava. "Mi deve un parola". La concessi, durò quanto una partita. Mario Tommaseo rimase lì ben oltre la linea di demarcazione del pranzo, era partito col pensiero e con la parola, ma non ci circondava un vuoto di spettri, anzi, tutto era limpido. Ha ragione chi dice che il calcio sia un libro che noi leggiamo periodicamente, e dal quale escono personaggi che poi entrano nella nostra vita. Tommaseo entrò nella mia. Mi chiese di scrivere di uno scudetto che non gli avevano riconosciuto, di una partita, di una fiaba, che non era una vera storia ma un sentimento, in tutto e per tutto. Mi chiese di realizzare qualcosa per lo Spezia ed i Vigili del Fuoco del 1944 e lo fece con quell´ardore che lo aveva contraddistinto sul un palco nel cantare, in campo a rincorrere centrocampisti, davanti ad una tela. Era arte. Chiese di correre anche a me, col pensiero. Lo guardavo e pensavo: "Si può invecchiare così meravigliosamente vivi?". Il giorno dopo tornò, e lo fece anche il terzo successivo, ma era sabato, e trovò tutto chiuso. Quella partita per lui non finiva mai. La storia di quel campionato mi era nota, ma non così nota. Cominciai a cercare, specie in biblioteca, i pezzi scritti negli anni, da colleghi; trovai un articolo del Tirreno di Tarcisio del Riccio, altri di Rino Capellazzi, o di Fulvio Magi, gli appunti di una serata al Panathlon. Serviva di più, la Brera a Milano. Poi politici e dichiarazioni di maniera, di chi si era fondamentalmente sciacquato la bocca con quella storia, ma poi l´aveva sputata. Ma dovevo partire, perchè quel racconto non passasse nel rimescolio delle onde del mare, ma rimanesse nel marmo. Richiamai io Mario, e mi volle a casa sua. Ci aprì una signora minuta che andò in buon ordine in cucina, mentre lui, nel suo studio, scopriva giornali, carte, ritagli e tele, pagine ingiallite ma conservate bene. Ebbi anche il numero di Paolo Rostagno, lo contattai, ci vedemmo la mattina seguente ai primi di novembre; poi cercai Sergio Angelini, quello delle due reti al Torino. Mi disse con una voce rauca toscana, che il lunedì successivo doveva passare per l´ospedale Sant´Andrea e che mi avrebbe raggiunto. Lo fece, venendo in redazione, allora ero un semplice cronista de la Nazione. Lo accolsi nello stanzino sul retro, dove lavoravano i poligrafici. Girammo un´intervista, mi spiegò tutto, con una mano gesticolando, con l´altra tenendo le sue analisi, impietose, che lo avrebbero portato nello stadio dei Sogni dopo non molto. Anche quella, disse lui, era una partita. Ma sapeva sarebbe diventata dipartita. Poi contattai la famiglia Persia, e parlai con il figlio di Wando, Giampiero, persona splendida, e conobbi Licia Cardellini, la moglie del capitano. Mi accolsero in casa come fossi un amico, e parlammo, parlammo, tanto da riempire tre notes. Mi mandarono dalla zio, Sergio, che aveva giocato con Wando in quella squadra. Poi mi contattò Sergio Bicchielli, che aggiunse molto al racconto, lui che era un po´ il ragazzino del gruppo. E lo fece anche una dolcissima signora, Cloe, la moglie di veleno Amenta. Furono due mesi stupendi, dentro una storia, dentro un spogliatoio, dove si consuma il rito del calcio. Era cronaca, e se hai un cuore, non è mai fedele. La signora Cloe Amenta ci accolse a Fezzano, a parlammo attorno al tavolo, quel tavolo, diceva lei, sul quale la sera Carmelo stendeva il cinturone da Vigile, perché "nel caso di una retata, la Gestapo avrebbe notato in casa per primo quello". Cloe parlò lentamente ma in maniera forte, raccontando una vita ed un amore, quello eterno per il marito, mediano in campo. Un lampo mi condusse a Rapallo dove un signore attempato mi regalò 30´ non di più, seduti su una panchina; Bruno Gramaglia viveva così, velocemente, ma con saggezza, non sprecava parole e minuti. Seguiva una strada. Grazie a Sergio Curletto riuscii a parlare anche con i figli di Giovannino Costa, che vivevano a Vicenza. Vennero fino a Lerici per raccontare e aggiungere qualcosa ad una tela, che di per se era solo affascinante viverla. Loro mi davano in appalto idee, sensazioni, momenti di vita, dovevi solo tradurli. Iniziò allora una enorme ricerca storica sui fatti sul tempo, sul campionato, ma documenti se ne trovavano raramente. Qualcosa spuntò fuori. Ma quando si parlò di coppa entrammo in mille dubbi; dov´era quella consegnata a Semorile e Barbieri? Il figlio di Ottavio viveva a Genova, ci raggiunse alla Spezia, anche lui per parlare. Anche lui aiutò molto tutta la struttura. Ma la coppa, dov´era? Un pomeriggio chiesi udienza al Comando dei Vigili, parlai con il Comandante, sapeva poco di tutto ciò. Mi affidò ad un uomo baffuto ed energico, credo si chiamasse Cossu. Non facevo fatica a vederlo Pompiere. Mi portò in un sottoscala dove c´era un mobile in vetro e dentro, ammassate, tante coppe. Trofei di ciclismo, iniziative amatoriali. Poi, sotto a tutte queste, malmessa e chissà da quanto lì, la Coppa del 1944, confusa tra trofei ciclistici. La presi e la pulii con lui, consigliai di tenerla fuori; scattai molte foto, e quando tornai pochi giorni dopo, quel Cossu ebbe l´accortezza di portarla in un ufficio, lasciandola in vista ma sorvegliata un minimo. La maggior parte di coloro che lì operavano non sapeva. Fatta la mia valigia da cronista, messo tutto insieme, sviluppato un occhio profondo di fantasia, immaginato una partita come Spezia-Torino e la sua cronaca, andai da un amico, il professore. Si chiama Salvatore Di Cicco, è un uomo coraggioso soprattutto, ne porta le cicatrici addosso di quel coraggio; spiegai il progetto, un libro che rimettesse all´attenzione di tutti quello scudetto mai assegnato. Avevo trovato un altro sognatore. Di Cicco, uomo abruzzese, ha quell´impeto che è caro a chi ha la letteratura nel sangue, l´istinto dell´impresa e della parola; disse si, la settimana dopo consegnai un floppy disk con dentro tutto. Tre giorni dopo, eravamo a novembre, nacque la prima stesura di "Un Giorno di Allarmi Aerei" che riproduceva nel titolo proprio quell´articolo che avevo letto per primo, del collega toscano Tarcisio Del Riccio. Il testo arrivò a vendere circa 1000 copie in pochi mesi, ne parlarono anche i giornali nazionali, meno quelli locali, profeti in patria non si è mai. Arrivai a Roma, alla Federazione, e mandai il testo a Matarrese, che promise di leggerlo e vagliare la cosa. Era il luglio del 1992, più o meno, ma questa non è storia di date. Non fece nulla. Anche grazie a Tuttosport passarono gli anni con vari articoli sul tema, rimanevano punto morto, quella partita che avevamo riaperto non vedeva mai il fischio di inizio. Poi nel 1999, è ottobre, succede qualcosa; Giorgio Pagano, Sindaco della Spezia, durante un convegno, parla di quella squadra e dice che non ´capisce come mai non si possa riaprire il caso´. Sette giorni dopo, è una mattina, sono circa le 12, ricevo una telefonata da Paolo Garbini, allora Assessore:"Pagano vorrebbe trovare materiale e notizie su quell´impresa del 1944, vorrebbe contattarti, ci dai una mano". Un collega, Paolo Ardito, futuro caporedattore del Secolo, gli aveva consigliato di parlare con me. Alle 15 ero in Comune davanti a Garbini, offrendo ogni tipo di collaborazione, avvisando Tommaseo. Passano due mesi e si organizza al Centro Allende un convegno, su quello scudetto mai riconosciuto, si vuol ripartire con un comitato, per provare o sondare il terreno. Vengo chiamato a parlare, spiego cosa ho in mano e cosa si può fare. Mancano documenti; in Emilia, meglio non precisare, dicono ci sia una sede della FIGC dove hanno molto di quei comunicati. Riesco in maniera avventurosa ad avere fotocopie, 150 pagine, dentro c´è tutto della storia e di quei giorni. Ne consumo la lettura in una notte. Fino Fini, che si occupa del museo di Coverciano e del materiale della Federcalcio italiana, mi dice no, non si può visionare un bel nulla alla FEDERCALCIO a Roma. Il Comitato vive, parte un movimento di opinione che raccoglie oltre 5000 firmatari. Insieme a Paolo Rabajoli mi reco a Coverciano a parlare con Valitutti e con Nizzola, la Nazionale Italia si sta allenando davanti a noi per andare agli europei del 2000 in Olanda. Altri si muovono ma il grosso del sistema sono i documenti. Sul tavolo di Valitutti riverso uno stadio, le firme di una città intera, non può non ascoltare. Una mattina mi reco nello studio dell´avvocato Franco Ferri, porto materiale, inviamo a Roma una richiesta formale, un´istanza. Scrive anche il Sindaco, finchè arriva dalla FIGC il fax più bello ed inatteso della storia: hanno riaperto il caso. Nominano una commissione di indagine e vogliono confrontarsi, ci sarà anche un´audizione. Che avviene il 17 luglio del 2000 in via Allegri a Roma. Tanta gente che arriva dalla Spezia, da Merlo a Pagano a Ricciardi a Campagni ai dirigenti stessi, ci sono anche Zanoli e Rocchi per lo Spezia; ad un certo punto, in quella che sembra una parata, i politici non capiscono mai la differenza tra un corner ed un dibattito, uno dei delegati della Federazione, l´avvocato Persichelli, una pertica d´uomo, dice chiaramente:´Ma al di là delle parole avete altro ?´. Pagano fa una mossa intelligente:"Nessuno dica più nulla, vorremmo far parlare un giornalista". Mi gira la parola, inizia una vera partita che dura poco meno di 90´. Dirà Pagano alla fine :"Pensavo oramai la assumessero´. Si va sui particolari, su domanda specifiche, si chiedono documenti, sembra un vero processo, qualcosa di forte. Ad ogni obiezione vedi 12 occhi che si girano verso di me, come per dire ´ e ora?´. La Federazione non sembra intenzionata a star lì a regalare medaglie, Goldoni altro avvocato, fa chiari riferimenti alla sostanza. Finchè dopo che un documento, proprio tra quelli rilevati a Bologna, apre altre verità, la FEDERCALCIO capisce che dopo anni non può più nascondere. Valitutti riferisce convinto: "Fosse per me, dipendesse da me, lo assegnerei, ma non dipende solo da me", e guarda il resto della commissione, gli altri 4. Pennacchia, un collega storico che è lì per la FIGC, fa capire che bisogna trovare una soluzione:"E allora facciamone una questione d´onore´. Ma il governo federale non c´è, nella realtà nessuno può decidere, leggere quello che esce dall´istruttoria. In tanti, Petrucci compreso, terranno la cosa in tasca senza la necessità di visionarla, prima che arrivi un presidente. Sarà Carraro, il 22 gennaio del 2002 a sancire il titolo onorifico. L´Ansa arriverà nel primo pomeriggio, mi emoziono a sentire al telefono tutte le chiamate al mio cellulare. Dopo anni un riconoscimento: poi la festa del Civico, una targa che mi viene consegnata da Macalli tra gli altri. Un regista che viene da Roma per girare un film ´Spalti di guerra´ e che rimane in città con me 10 giorni. Poi ancora quella onorificenza, avere sulle maglie un tricolore per sempre, unica squadra in Italia. Nessuno è profeta in patria, e le cose si fanno non per i lustrini, ma per regalare qualcosa a chi resta. Diventa un fatto di molti, curiosa la telefonata di un politico che anni prima aveva letto un libro scritto da un collega bolognese: "Vorrei salire sul carro dei vincitori please"- mi dice al telefono urlando-" sono anni che dico che quello scudetto deve essere dato allo Spezia, da quando lo diceva quel libro" .Che per inciso, per chi lo ha letto, dice proprio l´opposto, non venga riconosciuto niente, please. Si, ci sono altre persone che collaborano, ma dall´esterno, dire che si sono sbattute per trovare anche un solo documento fa ridere. Ma loro lo diranno. Nel 2012, un altro tifoso, Alessandro Botti, visita l´Arena di Milano, e vede delle targhe affisse nell´atrio del palco centrale. Mi chiama, mi dice che si potrebbe ricordare quella partita proprio lì, scolpita. Ne parla con un altro storico tifoso, Alberto Pandullo, che ha fatto parte del comitato per lo scudetto. Lui apre dei contatti col Comune di Milano che chiede un rendering, la scritta e garanzie. E´ un altro tifoso ancora, Paolo Peveri a disegnare il tutto ed a mandarlo a Milano, chi scrive queste righe che leggete invece, compone la targa lettera per lettera. Una bellissima manifestazione alla presenza del sindaco Massimo Federici incorona l´evento della scoprimento della lapide. Ma viene premiato il solo Pandullo, bontà sua e del Sindaco. Pandullo che sarà anche tra i promotori della festa del settantennale, registrando anche un copyright del logo. Ma anche in quel caso, tutto quello che avete letto prima non compare mai, dimenticato. Colpevolmente.
Quello che resta è uno scudetto sulle maglie, a futura memoria, la forza dei tifosi di appoggiare quell´iniziativa, un libro "Un Giorno di Allarmi Aerei" che di fatto riaprì il caso, un professore coraggioso, un vecchio Spezia-Viareggio ed una curva tricolore, ma anche la memoria corta di politici e sportivi. L´Italia è la patria della falsa commedia, recitavano tanti attori. Basta però tirare giù un sipario per guardare in faccia quelli veri.
Ps. Il Comune nel frattempo ha intitolato in tutto silenzio lo slargo davanti alla piscina Mori a questa storia, dicono senza neanche registrarlo nella toponomastica. Messo così com´è, capiamo anche il perché. Anche questo a futura memoria.
http://www.vigilfuoco.it/sitiSpeciali/viewPage.asp?s=2&
p=6721
Della MITICA SQUADRA facevano parte, tra gli altri, Giuseppe Castellini, portiere di riserva (in seguito, 3 stagioni in Serie A con il Genoa) e Paolo Rostagno, ala destra titolare (unico "vero" Vigile del Fuoco della formazione): nel 1972 dietro convocazione di Orlando Lorenzelli, furono tra i 162 Soci Fondatori della Sezione UNVS spezzina.
Fonte: UNVS La Spezia www.unvsliguria.it