il calcio è poesia - i 70 anni di gigi riva, i sogni son gol
12-11-2014 13:21 - Archivio news dalle Sezioni 2009-2021
Intervista di Armando Napoletano
- Gigi Riva compie domani 70 anni, un eroe degli anni ´70. Proponiamo questa intervista che venne realizzata alcuni mesi fa, un omaggio per raccontare un mito.
Scrivere la storia del calcio infilando il pallone nella porta, che per quanto capiente, può sembrare un pertugio. Con un sinistro disegnare parabole come col mancino disegnavano Leonardo o Van Gogh. Parlare di calcio e di sentimenti, esprimere poesia con un tiro imprendibile che il portiere non riesce a trattenere. Con la palla che attraversa l´aria quasi gioiosa. Luis Riva, come lo chiamava Brera, ecco chi è il mancino. Per Giuanin era Re Brenno o Rombo di Tuono, uno che "non tocca palla da latino,non ha il destro, ha una struttura da grande atleta nordico, ma che ha scatto imperioso, classe che ha pochi eguali al mondo. Una persona intelligente per giunta, coraggioso fino alla temerarietà".
Scrissero anche che dando una scorsa all´elenco dei premiati del Pallone d´oro, se il suo nome non compare, vuol dire che i ricercatori d´oro, ovvero i giornalisti votanti, non sono riusciti negli anni a trovare il tempo per premiare il migliore di tutti, l´attaccante più grande che l´Europa abbia avuto negli anni ´60 e ´70: Gigi Riva da Leggiuno.
Riva è la storia del calcio e quando gli parli è come se il prato verde si avvicinasse sempre di più alla penna. Un eroe mai nato, perché non morirà mai. Uno scudetto glorioso al Cagliari, un titolo di campione d´Europa, poi vice campione del mondo, record di gol in azzurro, simbolo di un´epoca di sognatori e di magie.
Riva, lei è stato il simbolo di un´epoca, un esempio positivo
per il calcio. Perchè il pallone non rispetta i suoi idoli e li alleva in eterno?
"Oggi il calcio è solo industria, ed offre la mano d´opera a tanti operai, e più lavorano questi, meglio stanno, loro. Il calcio vive la crisi del paese e dei valori, vedi gente che serve dietro il bancone di un bar ed è laureato. Altri che affannosamente cercano di emergere chissà come nel calcio. Che accompagna le vite di tutti noi. Ma dovrebbe essere divertimento, non sostituirsi a qualcosa che non hai e diventare ancora disperata di salvezza"
Tanti gol, una carriera di mani alzate al vento, e di entusiasmo, tra mille dolori che la vita ha purtroppo inflitto:
"Io i gol me li sognavo davvero, quante notti ho fatto sognando
di battere un portiere. Quante volte ho rivisto nella mia mente,anche da adulto, il gol a Croy, il portiere della Germania Est, segnato a Napoli in tuffo di testa.
Il gol è un sogno per ogni centravanti, ogni attaccante. Segni
e tutta la squadra ti guarda, attende da te il miracolo. Poi l´abbraccio. Ho visto in televisione alcuni miei gol e l´esultanza quasi scomposta che mi nasceva e mi sono perfino vergognato un po´"
Ma se li ricorda tutti i suoi gol?
"Quasi tutti, quello a Vicenza in rovesciata il 18 gennaio del
1970, fino a quello segnato all´Atzeca in Italia-Germania 4-3. E´ una rete alla quale sono legato perché la volli fortemente.
Poi il gol alla Jugoslavia nella finale della coppa Europa; non
stavo bene, Valcareggi mi disse di andare dentro e provare, poi
vedevamo quanto duravo. Segnai dopo 20´ e quasi mi dimenticai
dell´infortunio. Andavo come una freccia. Le rovesciate, una
contro il Napoli, un gol all´Amsicora al Milan contro Cudicini.
Che era alto oltre l´1 e 90 ma che vide la palla passare sulla sua testa così veloce che non riscì a chiudere le braccia, tanta era la potenza del tiro. Segnavo ed ero contento per me, per i miei familiari.
Il cacio era vivere, sostenere le mie sorelle, dopo aver perso i genitori da ragazzino. Togliermi una soddisfazione nei confronti della vita, che mi aveva maltrattato quando ero giovane. E segnavo anche al destino La poesia nel calcio quindi esiste ed esisterà sempre?
"E´ pura poesia, nessuno riuscirà mai a cambiarlo il calcio.
Tentato di farlo venire a noia, ma non ce la fanno. Giochi una
partita e subito dopo un´altra, ed in televisione trovi sempre qualcosa, qualche sfida anni ´70 o una Domenica Sportiva di annata o il calcio inglese.
Chi gioca non fa in tempo a metabolizzare una vittoria o una
sconfitta che ricomincia sempre da capo. E confondono anche i
tifosi che non hanno neanche più una settimana per godersi un
successo e sfottere l´avversario"
Una filosofia di vita, calciosofia?
"Io sono migliorato nel calcio, sono cresciuto e mi sono istruito ed educato col pallone. Persi i genitori, andai in collegio, poi a 14 anni a lavorare per portare a casa qualcosa. Le 2000 lire che mi davamo come rimborso al Laveno, nel 1962 per me erano oro. Bisognava mangiare, poi sognavi gol"
Quel Cagliari così storico da non dimenticarlo mai:
Albertosi, Martiradonna, Mancin, Cera, Niccolai, Tommasini,
Domenghini, Nenè, Gori, Greatti, Riva:
"Un bellissimo rosario. Gente che stava insieme, oggi hanno
impoverito il mondo del football di quei valori che reggevano
storie come la nostra. Non avresti cambiato maglia per nulla al
Mondo, vallo a dire ora ad Ibrahimovic, che prima di essere un
calciatore è fondamentalmente un ricco, straricco.
Uno oggi non ragiona mai dicendo ho sbagliato una stagione,
resto il prossimo anno per farla meglio; se ne và dove danno di
più.
E tutto perde identità: quel Cagliari era già pronto nel ´68- 69, vinse semplicemente un anno dopo perché si fece più cattivo, passò alla cassa ad incassare, era una squadra che cercava di fare gol, dopo che aveva pensato molto a difendersi. Ma si era uniti, venivamo tutti da fuori, nessuno del posto, e si faceva vita insieme.
C´era allegria nel vivere"
Come nasce uno spogliatoio di calcio a grandi livelli, dove si
cementa?
"Il 15 marzo del 1970 era la giornata numero 24 ed eravamo
primi, per tutti incredibilmente, davanti alla Juventus di due
punti, ma dovevamo andare a Torino.
Fu una gara stranissima, aperta da un´autorete di Comunardo
Niccolai al 29´, io pareggiai proprio al 45´. Andammo negli spogliatoi alla fine del primo tempo e tutti volevano parlare, si vedeva che c´era voglia di esprimersi. Guardai Scopigno e chiesi la parola ´questi non sono più forti di noi e se passiamo vinciamo il campionato´.
Rientrammo e ci fu un rigore che Anastasi segnò, ma io pareggiai sempre dal dischetto all´82. Lì capimmo che saremmo arrivati in fondo, trasmettendo un messaggio chiaro, con i soli volti agli avversari; la Juventus infatti, sette giorni dopo perse a Firenze, noi battemmo il Verona e si creò il distacco finale"
Ferenc Puskas disse di aver amato il calcio più della sua vita:
"Si, posso dire la stessa cosa. Anch´io ho amato il calcio più
della mi stessa vita, tanto da lasciarci anche le ossa. Tanti infortuni ma anche la voglia di ricominciare sempre, come se senza il calcio non vivessi. Il più bel complimento mai ricevuto su un campo da calcio me lo regalò Galluzzi, un mister delle nazionali giovanili.
Ai cronisti riferì che quel giovanotto metteva la testa dove gli altri si rifiutavano di metter il piede. Il coraggio che contraddistingue i campioni. Ero solo un ragazzino ed avevo appena preso in nazionale giovanile un sonoro calcio nella spalla, per fare un gol di testa in tuffo"
In tuoi simboli in campo, da compagno o avversario:
"Io ho fatto coppia con tanta gente fortissima, che dava allegria al calcio. I Meroni, Rivera, Boninsegna; ma c´era un ragazzo che stimavo tantissimo per come giocava e per quello che faceva.
Bobo Gori, il mio compagno di attacco al Cagliari.
Era arrivato nello scambio con l´Inter, che in lui non credeva
più, dove era andato Boninsegna per Domenghini, Gori e Poli.
C´è chi scrisse che io e Bonimba entrambi mancini, non avessimo
il piede per comunicare.
Gori però cambiò anche il mio modo di giocare, in positivo,
perché andasse a destra o sinistra, io sapevo poi dove avrebbe
messo la palla. Poi aveva cuore che nel calcio è l´organo fondamentale.
Ho giocato invece contro tanti fenomeni, a sorprendo dicendo
che Pelè al mondiale messicano non mi fece vedere moltissimo. Io rimasi incantato invece da Rivellino.
Sembrava un direttore d´orchestra in campo, gli passavi vicino
e lo sentivi parlare disponendo i suoi compagni che facevano ogni movimento come telecomandati. Poi, quando toccava a lui, aveva tecnica ed un piede incredibile, sia in precisione che potenza"
Cosa resta del calcio, in questa fabbrica di immagini sbagliate
che si sovrappongono?
"Ora è tutto diverso da un tempo, c´è il sintetico, le gare differite, si gioca a mezzogiorno, poi il lunedì, il martedì o il venerdì.
Noi giocavamo per strada, dov´è la vera tecnologia del calcio, e le partite duravano ore ed ore e finivano 48 a 46.
Erano i pomeriggi più belli della nostra vita. Ora non hanno
neppure i campi e la strada per giocare, lo fanno alla televisione; ma così perdi la storia del calcio, scritta dagli umili e nella polvere, e sulle maglie conta più il nome che il colore del club.
Io ho ancora oggi una scuola calcio, con 200 ragazzini, e cerco
di insegnare atteggiamenti al campione di turno, ma anche a chi
non è campione e non lo sarà mai, ma deve solo divertirsi.
Dopo la Corea ed il mondiale del 1966 chiusero le frontiere e
vincemmo un Europeo e fummo vice campioni del Mondo. Poi
decisero di riaprile ed abbiamo vinto pochissimo. Ma finchè avrò voce racconterò calcio e parlerò di calcio, di quello vero, che ho consumato per una vita"
NOTA:
Armando Napoletano, valente giornalista sportivo, autore di diversi libri a tema calcistico è stato tra gli attori e promotori che hanno portato al riconoscimento, da parte della FIGC, nel 2002, del meritato Scudetto di Guerra, vinto nel 1944 dalla "magica" compagine calcistica dei Vigili del Fuoco spezzini, che, contro ogni pronostico, batterono in finale il Grande Torino all´Arena di Milano.
Autore del libro: " Un giorno di allarmi aerei 1944-2002" - Edizioni Cinque Terre.
Al proposito, vedere i links:
http://www.vigilfuoco.it/sitiSpeciali/viewPage.asp?s=2&p=6721
https://www.youtube.com/watch?v=0-g97iAvWTI
www.edizioni5terre.com/libro/un-giorno-di-allarmi-aerei/
https://www.youtube.com/watch?v=GOB1JnGJJNc
Fonte: Armando Napoletano - Giornalista Sportivo www.unvsliguria.it
- Gigi Riva compie domani 70 anni, un eroe degli anni ´70. Proponiamo questa intervista che venne realizzata alcuni mesi fa, un omaggio per raccontare un mito.
Scrivere la storia del calcio infilando il pallone nella porta, che per quanto capiente, può sembrare un pertugio. Con un sinistro disegnare parabole come col mancino disegnavano Leonardo o Van Gogh. Parlare di calcio e di sentimenti, esprimere poesia con un tiro imprendibile che il portiere non riesce a trattenere. Con la palla che attraversa l´aria quasi gioiosa. Luis Riva, come lo chiamava Brera, ecco chi è il mancino. Per Giuanin era Re Brenno o Rombo di Tuono, uno che "non tocca palla da latino,non ha il destro, ha una struttura da grande atleta nordico, ma che ha scatto imperioso, classe che ha pochi eguali al mondo. Una persona intelligente per giunta, coraggioso fino alla temerarietà".
Scrissero anche che dando una scorsa all´elenco dei premiati del Pallone d´oro, se il suo nome non compare, vuol dire che i ricercatori d´oro, ovvero i giornalisti votanti, non sono riusciti negli anni a trovare il tempo per premiare il migliore di tutti, l´attaccante più grande che l´Europa abbia avuto negli anni ´60 e ´70: Gigi Riva da Leggiuno.
Riva è la storia del calcio e quando gli parli è come se il prato verde si avvicinasse sempre di più alla penna. Un eroe mai nato, perché non morirà mai. Uno scudetto glorioso al Cagliari, un titolo di campione d´Europa, poi vice campione del mondo, record di gol in azzurro, simbolo di un´epoca di sognatori e di magie.
Riva, lei è stato il simbolo di un´epoca, un esempio positivo
per il calcio. Perchè il pallone non rispetta i suoi idoli e li alleva in eterno?
"Oggi il calcio è solo industria, ed offre la mano d´opera a tanti operai, e più lavorano questi, meglio stanno, loro. Il calcio vive la crisi del paese e dei valori, vedi gente che serve dietro il bancone di un bar ed è laureato. Altri che affannosamente cercano di emergere chissà come nel calcio. Che accompagna le vite di tutti noi. Ma dovrebbe essere divertimento, non sostituirsi a qualcosa che non hai e diventare ancora disperata di salvezza"
Tanti gol, una carriera di mani alzate al vento, e di entusiasmo, tra mille dolori che la vita ha purtroppo inflitto:
"Io i gol me li sognavo davvero, quante notti ho fatto sognando
di battere un portiere. Quante volte ho rivisto nella mia mente,anche da adulto, il gol a Croy, il portiere della Germania Est, segnato a Napoli in tuffo di testa.
Il gol è un sogno per ogni centravanti, ogni attaccante. Segni
e tutta la squadra ti guarda, attende da te il miracolo. Poi l´abbraccio. Ho visto in televisione alcuni miei gol e l´esultanza quasi scomposta che mi nasceva e mi sono perfino vergognato un po´"
Ma se li ricorda tutti i suoi gol?
"Quasi tutti, quello a Vicenza in rovesciata il 18 gennaio del
1970, fino a quello segnato all´Atzeca in Italia-Germania 4-3. E´ una rete alla quale sono legato perché la volli fortemente.
Poi il gol alla Jugoslavia nella finale della coppa Europa; non
stavo bene, Valcareggi mi disse di andare dentro e provare, poi
vedevamo quanto duravo. Segnai dopo 20´ e quasi mi dimenticai
dell´infortunio. Andavo come una freccia. Le rovesciate, una
contro il Napoli, un gol all´Amsicora al Milan contro Cudicini.
Che era alto oltre l´1 e 90 ma che vide la palla passare sulla sua testa così veloce che non riscì a chiudere le braccia, tanta era la potenza del tiro. Segnavo ed ero contento per me, per i miei familiari.
Il cacio era vivere, sostenere le mie sorelle, dopo aver perso i genitori da ragazzino. Togliermi una soddisfazione nei confronti della vita, che mi aveva maltrattato quando ero giovane. E segnavo anche al destino La poesia nel calcio quindi esiste ed esisterà sempre?
"E´ pura poesia, nessuno riuscirà mai a cambiarlo il calcio.
Tentato di farlo venire a noia, ma non ce la fanno. Giochi una
partita e subito dopo un´altra, ed in televisione trovi sempre qualcosa, qualche sfida anni ´70 o una Domenica Sportiva di annata o il calcio inglese.
Chi gioca non fa in tempo a metabolizzare una vittoria o una
sconfitta che ricomincia sempre da capo. E confondono anche i
tifosi che non hanno neanche più una settimana per godersi un
successo e sfottere l´avversario"
Una filosofia di vita, calciosofia?
"Io sono migliorato nel calcio, sono cresciuto e mi sono istruito ed educato col pallone. Persi i genitori, andai in collegio, poi a 14 anni a lavorare per portare a casa qualcosa. Le 2000 lire che mi davamo come rimborso al Laveno, nel 1962 per me erano oro. Bisognava mangiare, poi sognavi gol"
Quel Cagliari così storico da non dimenticarlo mai:
Albertosi, Martiradonna, Mancin, Cera, Niccolai, Tommasini,
Domenghini, Nenè, Gori, Greatti, Riva:
"Un bellissimo rosario. Gente che stava insieme, oggi hanno
impoverito il mondo del football di quei valori che reggevano
storie come la nostra. Non avresti cambiato maglia per nulla al
Mondo, vallo a dire ora ad Ibrahimovic, che prima di essere un
calciatore è fondamentalmente un ricco, straricco.
Uno oggi non ragiona mai dicendo ho sbagliato una stagione,
resto il prossimo anno per farla meglio; se ne và dove danno di
più.
E tutto perde identità: quel Cagliari era già pronto nel ´68- 69, vinse semplicemente un anno dopo perché si fece più cattivo, passò alla cassa ad incassare, era una squadra che cercava di fare gol, dopo che aveva pensato molto a difendersi. Ma si era uniti, venivamo tutti da fuori, nessuno del posto, e si faceva vita insieme.
C´era allegria nel vivere"
Come nasce uno spogliatoio di calcio a grandi livelli, dove si
cementa?
"Il 15 marzo del 1970 era la giornata numero 24 ed eravamo
primi, per tutti incredibilmente, davanti alla Juventus di due
punti, ma dovevamo andare a Torino.
Fu una gara stranissima, aperta da un´autorete di Comunardo
Niccolai al 29´, io pareggiai proprio al 45´. Andammo negli spogliatoi alla fine del primo tempo e tutti volevano parlare, si vedeva che c´era voglia di esprimersi. Guardai Scopigno e chiesi la parola ´questi non sono più forti di noi e se passiamo vinciamo il campionato´.
Rientrammo e ci fu un rigore che Anastasi segnò, ma io pareggiai sempre dal dischetto all´82. Lì capimmo che saremmo arrivati in fondo, trasmettendo un messaggio chiaro, con i soli volti agli avversari; la Juventus infatti, sette giorni dopo perse a Firenze, noi battemmo il Verona e si creò il distacco finale"
Ferenc Puskas disse di aver amato il calcio più della sua vita:
"Si, posso dire la stessa cosa. Anch´io ho amato il calcio più
della mi stessa vita, tanto da lasciarci anche le ossa. Tanti infortuni ma anche la voglia di ricominciare sempre, come se senza il calcio non vivessi. Il più bel complimento mai ricevuto su un campo da calcio me lo regalò Galluzzi, un mister delle nazionali giovanili.
Ai cronisti riferì che quel giovanotto metteva la testa dove gli altri si rifiutavano di metter il piede. Il coraggio che contraddistingue i campioni. Ero solo un ragazzino ed avevo appena preso in nazionale giovanile un sonoro calcio nella spalla, per fare un gol di testa in tuffo"
In tuoi simboli in campo, da compagno o avversario:
"Io ho fatto coppia con tanta gente fortissima, che dava allegria al calcio. I Meroni, Rivera, Boninsegna; ma c´era un ragazzo che stimavo tantissimo per come giocava e per quello che faceva.
Bobo Gori, il mio compagno di attacco al Cagliari.
Era arrivato nello scambio con l´Inter, che in lui non credeva
più, dove era andato Boninsegna per Domenghini, Gori e Poli.
C´è chi scrisse che io e Bonimba entrambi mancini, non avessimo
il piede per comunicare.
Gori però cambiò anche il mio modo di giocare, in positivo,
perché andasse a destra o sinistra, io sapevo poi dove avrebbe
messo la palla. Poi aveva cuore che nel calcio è l´organo fondamentale.
Ho giocato invece contro tanti fenomeni, a sorprendo dicendo
che Pelè al mondiale messicano non mi fece vedere moltissimo. Io rimasi incantato invece da Rivellino.
Sembrava un direttore d´orchestra in campo, gli passavi vicino
e lo sentivi parlare disponendo i suoi compagni che facevano ogni movimento come telecomandati. Poi, quando toccava a lui, aveva tecnica ed un piede incredibile, sia in precisione che potenza"
Cosa resta del calcio, in questa fabbrica di immagini sbagliate
che si sovrappongono?
"Ora è tutto diverso da un tempo, c´è il sintetico, le gare differite, si gioca a mezzogiorno, poi il lunedì, il martedì o il venerdì.
Noi giocavamo per strada, dov´è la vera tecnologia del calcio, e le partite duravano ore ed ore e finivano 48 a 46.
Erano i pomeriggi più belli della nostra vita. Ora non hanno
neppure i campi e la strada per giocare, lo fanno alla televisione; ma così perdi la storia del calcio, scritta dagli umili e nella polvere, e sulle maglie conta più il nome che il colore del club.
Io ho ancora oggi una scuola calcio, con 200 ragazzini, e cerco
di insegnare atteggiamenti al campione di turno, ma anche a chi
non è campione e non lo sarà mai, ma deve solo divertirsi.
Dopo la Corea ed il mondiale del 1966 chiusero le frontiere e
vincemmo un Europeo e fummo vice campioni del Mondo. Poi
decisero di riaprile ed abbiamo vinto pochissimo. Ma finchè avrò voce racconterò calcio e parlerò di calcio, di quello vero, che ho consumato per una vita"
NOTA:
Armando Napoletano, valente giornalista sportivo, autore di diversi libri a tema calcistico è stato tra gli attori e promotori che hanno portato al riconoscimento, da parte della FIGC, nel 2002, del meritato Scudetto di Guerra, vinto nel 1944 dalla "magica" compagine calcistica dei Vigili del Fuoco spezzini, che, contro ogni pronostico, batterono in finale il Grande Torino all´Arena di Milano.
Autore del libro: " Un giorno di allarmi aerei 1944-2002" - Edizioni Cinque Terre.
Al proposito, vedere i links:
http://www.vigilfuoco.it/sitiSpeciali/viewPage.asp?s=2&p=6721
https://www.youtube.com/watch?v=0-g97iAvWTI
www.edizioni5terre.com/libro/un-giorno-di-allarmi-aerei/
https://www.youtube.com/watch?v=GOB1JnGJJNc
Fonte: Armando Napoletano - Giornalista Sportivo www.unvsliguria.it