"Ho rinunciato al mundial. e dicevano che ero uno intelligente..."
" Solaro si gode Pecci: “Rivolterei un po’ il mondo: quando uno vince il campionato, lo promuovi allenatore dei bambini”
Acuto, generoso, divertente. Eraldo Pecci, in cabina di regia con Bologna, Torino, Fiorentina e Napoli a cavallo tra gli anni ’70 e ’80, ha appassionato ieri sera il pubblico del “Mercoledì da piccioni” all’Arci di Solaro, dove è stato intervistato da Alessandro Brizzi, anche sulla traccia del libro Ci piaceva giocare a pallone. “Ho fatto un primo libro, Il Toro non può perdere, che sentivo di dovere a quei ragazzi, a quella squadra che aveva una chimica particolare (i granata campioni d’Italia ’75-’76, ndr).
Purtroppo è andato benino e la Rizzoli me ne ha chiesto un altro, per scrivere il quale ho dovuto in parte attingere anche alla mia vita, cosa secondo me sbagliata, perché le biografie vanno bene per Alessandro Magno, per Leonardo da Vinci…”, ha esordito l’ex centrocampista e apprezzato commentatore. A fare da sfondo alla chiacchierata, alcuni emozionanti scatti da Deserti da calcio del fotografo Davide Marcesini, che interloquendo con Paolo Zavanella ha raccontato questo suo lavoro, realizzato in Marocco.
“Ho cominciato a giocare a Cattolica nella squadra del prete, e pensate che per mio babbo Stalin era troppo a destra… – ha raccontato Pecci -. Si chiamava Superga ’63 in ricordo del Grande Torino, un segno del destino visto che poi ho davvero giocato nel Toro”. Colori granata che sono impressi nel cuore dell’ex calciatore romagnolo: “Ho giocato in varie squadre e le ho amate tutte, sono sempre entrato nelle città, nel tifo, tutte belle storie. Ma il Toro ha qualcosa di particolare, c’è un sentimento che unisce le persone del Toro, c’è questo grande amore che fa da comune denominatore. Che è vero anche per le altre squadre, ma l’ideale del Toro è una cosa particolare”. Parole che certo devono aver trovato concordi i tanti tifosi granata presenti tra il numeroso pubblico accorso all’Arci – in platea anche Carlo Osti, responsabile dell’area tecnica della Sampdoria. “Certo, tifare Toro è come masturbarsi con la sabbia”, ha poi scherzato Pecci, che ha ricevuto l’ironico controcanto di Brizzi: “Per lo Spezia, con la ghiaia“. E ha proposito di Spezia, il protagonista della serata ha ricordato anche una sua partita al Picco, semifinale di un Torneo di Viareggio, quando con il Bologna battè lo Steaua Bucarest ai rigori, uno segnato da lui.
Dal ricordo dei suoi esordi Pecci è passato a valutazioni sull’oggi: “Ricordo che al Superga ’63 c’era prima di tutto la volontà di formare degli ometti. Se perdevamo non era importante, quel che contava erano il comportamento, la solidarietà tra noi; è importante a quell’età trovare insegnanti di questo tipo. Si parla spesso di Spalletti, di Mourinho, di Mancini, ma loro hanno a che fare con giocatori già formati, non è l’allenatore che fa giocare bene o male Messi o Ronaldo. Mentre ben diverso è il discorso del bambino, che vede nel suo istruttore una persona di riferimento, forse anche di più rispetto ai genitori, se tiene molto a giocare a pallone. Io rivolterei un po’ il mondo: quando uno vince il campionato, lo promuovi allenatore dei bambini. Ora invece si spende molto per la prima squadra e per i settori giovanili spesso ci si affida a dei volontari”. E sempre guardando all’attualità, Pecci ha parlato di “un campionato dove tutti raggiungono obbiettivi: il primo vince, fino alla quarta si va in Coppa dei Campioni, fino alla settima Europa e Conference League, poi ci sono le squadre che si salvano e vendono i bravi giocatori alle squadre più avanti, infine quelle che retrocedono e prendono un sacco di soldi come paracadute… si è creato un giochino dove cercare di migliorare non è la cosa primaria, in cui tutti appunto raggiungono l’obbiettivo e dove soprattutto non si dà abbastanza spazio a giovani che magari potrebbero dire la loro”.
Non è mancata una considerazione sul rapporto tra calcio, stampa e tifosi. “Una volta si parlava sempre, con tutti, il rapporto giornalista-calciatore era molto più completo, profondo e leale – ha osservato Pecci, che nel frangente ha affettuosamente ricordato Gian Paolo Marchetti del Resto del Carlino -. Ora invece va a parlare un giocatore a settimana, con il controllo della società; il rapporto con la stampa è cambiato e di conseguenza anche quello tra la squadra e la sua gente. C’è questo coprirsi, questo far uscire meno informazioni possibili. Vedo i giocatori che escono dal campo e non si fermano con i tifosi, vedo i campi di allenamento chiusi. Per me è un autogol: se la gente non può stare vicino alla squadra fisicamente, se non può stare vicino alla squadra perché non ha informazioni, se non può vivere la squadra in nessuna maniera, piano piano secondo me si stanca. Credo possa essere anche per questo che il nostro prodotto sta perdendo terreno”. E sul perché le cose tra stampa e calcio siano cambiate, Pecci ha ipotizzato che “forse uno dei motivi è che gira molta informazione. Se un giocatore dice una cosa, ne escono cinquanta versioni”.
Quindi il ricordo di Maradona: “Era nato per giocare a calcio, Dio gli ha messo la mano sulla testa e gli ha detto vai e porta il calcio sulla Terra. Un ragazzo di una disponibilità e di una bontà uniche, a disposizione di tutti, specialmente degli ultimi”. A Diego, Pecci fornì il tocco per la funambolica punizione da dentro l’area di Napoli-Juve 1-0 del 3 novembre 1985.
L’ex regista partenopeo ha raccontato il dibattito che precedette la parabola vincente, con da un lato lo scetticismo pecciano sulla possibilità di buttarla dentro da lì, dall’altro El Pibe pronto a infilarla. “Alla fine gli ho detto: fai come ti pare, Maradona sei te! E ha segnato… il fatto che quelli come Maradona hanno doti per le quali vedono cose che sfuggono a noi umani, sono dei geni”. E si è parlato anche della Nazionale, con la quale Pecci, a dispetto del talento, non ha collezionato che sei presenze (pur prendendo parte al Mondiale ’78, anche se senza scendere in campo). Ct di allora Enzo Bearzot, che fece debuttare Pecci in azzurro. “Grande stima per Bearzot, una persona per bene, pulita – ha detto Pecci -. Il punto è che quando nel ’76 noi del Toro abbiamo vinto il campionato sulla Juve, questa ha venduto Capello e ha preso Benetti, passando a un centrocampo senza regista e con tre mediani, tornando a vincere. Bearzot allora giustamente si è adattato a questo assetto, in cui un regista come me non c’era e che quindi mi ha un po’ penalizzato. Così quando è capitato comunque di essere chiamato, ho detto a Bearzot che forse era meglio convocasse dei giovani per farsi le ossa, tanto io non avrei giocato. E mi ha richiamato anche per partecipare al Mondiale ’82 dopo che avevo disputato una bella stagione alla Fiorentina, certo spiegandomi che non poteva garantirmi il posto. Ma io gli dissi che quello che era detto, era detto, e insomma ho rinunciato ad andare ai Mondiali… e dicevano che ero uno intelligente. Ad ogni modo con Bearzot siamo rimasti amici a vita”.
Ebbene questi e tanti altri aneddoti, riflessioni e racconti – più una pioggia di foto ricordo e autografi e un vivace spazio domande – alla riuscita serata di Solaro, trascorsa in compagnia di un campione di sport, intelligenza e ironia.
NICCOLO’ RE
CITTADELLASPEZIA.COM
ANNOTAZIONI
Presente all'evento la Sezione UNVS " O. Lorenzelli - F. Zolezzi " della Spezia, con l'attuale Presidente Piero Lorenzelli
Il Presidente Lorenzelli ha fatto omaggio a Eraldo Pecci del libro "Storia della Coppa Internazionale", scritto da Davide Gubellini, Presidente della Sezione UNVS "Ondina Valla" di Bologna, in collaborazione con lo storico dello Sport Lamberto Bertozzi.
Il testo tratta della Coppa Europea di Calcio, precorritrice dell'attuale Campionato Europeo (Prefazione del testo a cura di Franco Bulgarelli, Delegato di UNVS Emilia)