Antico e Moderno nelle Pietre di Olimpia
25-02-2015 14:16 - Archivio news dalle Sezioni 2009-2021
Quasi ormai tremila anni fa, uomini così lontani da " noi attuali " per esperienze e per
cultura, hanno avanzato una proposta, ancora condivisa, di elevato contenuto ideale, ovvero:
confrontarsi nel gioco.
Al gioco è immediatamente connesso, secondo un criterio consueto e convenzionale di
valutazione, quanto banale e superficiale, il principio dello svago e della ricreazione, mentre sfugge che il gioco esprime una vera esigenza biologica che ha finalità compensativa per il mantenimento dell´equilibrio neuro biochimico del nostro organismo utilizzando un meccanismo consumativo.
Tale esigenza è tanto più manifesta nei giovani. Al gioco, secondo la concezione moderna, fanno
riferimento, inoltre, consolidati metodi educativi nonché accertati presidi rivolti alla
conservazione, alla difesa ed al recupero della salute.
Attualmente il gioco ha subito, in ogni caso, un certo grado di banalizzazione rispetto alla
concezione attribuitagli ai tempi di Olimpia.
Anticamente i giochi di Olimpia, infatti, rappresentavano una festa di riconciliazione fra gli
uomini e degli uomini con le divinità; quindi erano perfusi di spirito di fraternizzazione, di pace, non meno che di pagano misticismo e di sacralità. La tregua olimpica ne era l´espressione più elevata, la cui inosservanza era considerata sacrilega. L´occasione olimpica, specie alle origini, rappresentava inoltre, dal punto di vista politico e socio-culturale, il momento in cui le polis nella loro indiscutibile autonomia, le cosidette Città Stato, si riconoscevano come appartenenti alla Grecia come nazione, e rappresentava l´eccellente opportunità per poter confrontare miti, cerimonie religiose, norme giuridiche, esperienze estetiche e l´occasione per proporre possibili future alleanze e concordare una politica filoellenica. I Giochi rappresentarono quindi un potente "mezzo di comunicazione", almeno fino all´epoca della conquista della Grecia da parte di Roma, quando l´informazione e la "propaganda" trovarono canali diversi e più validi per tutto l´impero.
Quei giochi avevano un carattere ed un ruolo devozionale e per questi motivi originari
le olimpiadi antiche, iniziate nel 776 a.C., finirono con la fine del paganesimo e la imposizione, come Religione di Stato, del Cristianesimo, identificato nel Simbolo Niceno (325 d.C.) in contrasto ufficiale con l´Arianesimo e altre eresie. Tuttavia, l´atto formale di tale imposizione, decretato con l´"Editto di Tessalonica" (l´attuale Salonicco, Macedonia) del 380, non dava ancora specifiche indicazioni di pratica attuazione.
Si dovrà arrivare al 391-392, ai " Decreti Teodosiani" dell´imperatore Teodosio Primo il
Grande, ultimo imperatore riconosciuto dell´Impero Romano unificato (cui seguiranno i figli
Onorio in Occidente ed Arcadio in Oriente), decreti che daranno pratica esecuzione all´editto di Tessalonica applicando le norme di proibizione dei culti pagani. Fra questi, con la esplicita richiesta di Ambrogio Vescovo di Milano, sollecitata da Agostino, allora suo ospite, venne inclusa l´abolizione definitiva delle Olimpiadi giunte alla 291esima edizione nel 393: (ma questa non è l´unica versione: si contrappone ad essa l´ipotesi di una loro più tardiva e spontanea e progressiva estinzione, almeno in Olimpia, dovuta alla dilagante corruzione).
Il Cristianesimo, poi, impiegherà secoli per riscoprire il valore del corpo e della fisicità.
A giustificazione di quella storica abrogazione ci furono anche i fatti culminati con la strage
di Tessalonica del 390, quando un governatore di Teodosio nella regione macedone fu linciato dalla folla perché aveva proibito ad un atleta della città di partecipare ai giochi (non olimpici). Teodosio ordinò allora una rappresaglia contro i colpevoli dell´eccidio ma le milizie andarono oltre i limiti dell´ordine impartito dall´imperatore che suonò "uccideteli tutti " intendendo riferirsi, probabilmente, ai soli responsabili di quell´assassinio. La popolazione di Tessalonica fu invitata al circo per assistere ad una gara di bighe: poi, sbarrate le porte d´uscita, i miliziani fecero irruzione fra gli spalti ed assassinarono tutti i 7000 cittadini convenuti.
Ambrogio, venuto a conoscenza di tale barbarie, rimproverò ufficialmente Teodosio, che allora aveva sede imperiale a Milano, minacciandolo di scomunica. L´imperatore per farsi perdonare si presentò nel Natale del 390 in Cattedrale spogliato della porpora, prostrandosi ed umiliandosi pubblicamente mettendo ai piedi del prelato le insegne imperiali. Con tale gesto altamente simbolico, dal 393 lo Stato, per la prima volta, accettava la subordinazione e la dipendenza dalla Chiesa: l´autorità spirituale prevarrà a lungo su quella secolare, in netta separazione fra le "cose terrene" che appartengono all´imperatore e le "cose divine" che sono al di sopra dell´imperatore.
Ma poi la Chiesa ebbe in proprietà anche tante "cose terrene" ed il potere temporale della Chiesa, che ufficialmente si fa iniziare nel 754,(con la "promissio carisiaca" di Pipino il Breve per la vittoria sui Longobardi e dopo altre donazioni carolingie) durerà fino alla breccia di Porta Pia del 22 settembre 1870 con la presa della città di Roma e dell´ultima legazione.
L´Olimpiade antica nata quindi nella accecante luminosità della piana assolata di Olimpia
come festa di avvicinamento dell´uomo alla divinità, finisce adombrata dalla brutalità di quegli avvenimenti, oltre che dalla dilagante corruzione da tempo diffusa fra gli atleti.
C´è chi sostiene che, risorta dopo l´abrogazione della celebrazione del sacro paganeggiante, l´Olimpiade moderna, tuttavia, continui a celebrare il sacro secolarizzato. In realtà, riflettendo sul contenuto di sacralità allora attribuito ai giochi, è intuibile che il "sacro" per gli antichi greci dovesse coincidere con il "bello" identificato nella figura umana come in quella delle loro divinità antropomorfe e trovasse la massima esaltazione proprio nella esecuzione del gioco. Oggi è difficile dire quanto vi sia di sacro nella espressione fisica della competizione ma certamente il corpo umano esprime i più elevati contenuti estetici proprio nella dinamica del gesto atletico.
Nella Grecia antica i giochi erano diffusi e numerosi; quasi ogni città proclamava i propri:
ad Atene i Panatenaici, quelli di Hera ad Argo e poi quelli funebri (nell´Iliade sono descritti i primi giochi funebri indetti da Achille per la morte di Patroclo). Molti giochi godettero di ampia fama come i Delfici, i Pitici, i Nemei, gli Istmici, ma ad Olimpia questi eventi ebbero una dimensione, per così dire, più internazionale. Ad Olimpia accorsero atleti da tutte le località della Grecia, dalle sue colonie estese nel Mediterraneo e successivamente da Roma e dall´Impero dopo la dominazione romana ufficializzata nel 146 a.C. (Battaglia di Corinto). Anche gli imperatori Tiberio e Nerone parteciparono alle gare ma già era ormai invalsa la presenza di atleti professionisti che snaturò progressivamente lo spirito antico di Olimpia.
In origine, invece, i professionisti erano esclusi dalle gare, così come gli schiavi e i barbari; fra questi ultimi anche i Macedoni, almeno fino alla battaglia di Cheronea del 338 a.C. che segnò la fine del periodo classico e della libertà ellenica dopo di che la Grecia passò sotto il dominio macedone: ne fa testimonianza il philippeion, una struttura votiva voluta da Filippo II, padre di Alessandro Magno ed i resti sono tuttora visibili all´interno dell´area sacra di Olimpia.
Anche le donne erano escluse dalle competizioni, né potevano presenziare ai giochi: solo la
sacerdotessa di Demetra assisteva alle gare. Potevano essere premiate ma non presenziare
solo le donne proprietarie dei cavalli vincitori nelle corse equestri. La principessa di Sparta
Cinisca fu la prima donna a vincere l´alloro olimpico utilizzando un team di cavalieri maschi nelle edizioni successive del 396 e del 392 a.C. senza poter assistere alle gare.
Il protagonista di Olimpia era l´individuo, non il collettivo. Era il cittadino che con le sue
gesta glorificava la polis, alla pari dell´uomo pubblico colto e saggio che con la dialettica si confrontava nell´agorà. E´ verosimile che proprio la pratica insistita e sistematica del confronto, cioè dell´agonismo esperito sia sul piano fisico quanto su quello dialettico-intellettuale, abbia rappresentato la spinta, il trigger alla progressione di quella cultura ellenica che, in ultima analisi, sta alla base della civiltà occidentale, ma in generale alla base di ogni progresso di civilizzazione.
Esiodo dettava come norma dell´etica greca: " imparare per mezzo della sofferenza" per cui la sofferenza intesa come fatica, dolore, connessi con l´agòne, interpretato come esemplificazione e parafrasi della vita, rappresentava la tensione del cittadino virtuoso verso la perfezione e la soddisfazione del desiderio di onore e di buona reputazione presso la polis.
L´atleta di Olimpia riceveva grande fama in tutta la Grecia e non perseguiva finalità compensative di guadagno ma, appunto, cercava e riceveva prestigio sociale attraverso
l´affermazione del senso dell´onore (inteso come reputazione ed identità morale, degenerato poi in pretesa di riconoscimento di onore e di rispettabilità).Onore, quindi, non preteso ma conseguito nel confronto agonistico, a sua volta coincidente con il trionfo nella vita civica come affermazione della virtù che presso i Greci antichi significava non solo disposizione a fare il bene, ma anche coraggio, valore militare e desiderio di dimostrare la propria eccellenza (aretè): evidentemente valori che trascendevano il risultato sportivo.
Il vincitore di Olimpia veniva incoronato con il ramo di olivo selvatico raccolto nei boschi
intorno all´Altis, il sancta sanctorum del complesso religioso di Olimpia e, come espressione di massimo onore, la sua immagine veniva immortalata da una effige scolpita nella pietra dai più grandi artisti convenuti. Nelle edizioni moderne, la vittoria non è più occasione di sintesi fra arte e sport, se non fosse per il valore, tanto rappresentativo quanto impersonale, della medaglia.
La vittoria conseguita nelle olimpiadi moderne ha assunto, piuttosto, finalità mirate alla
persuasione retorica. Si pensi all´Olimpiade di Berlino del 1936 immortalata nel film
documentario in bianco e nero intitolato "Olimpia" di Leni Riefensthal, famosa regista, cultrice dell´estetica nazista, grande artista, personaggio complesso e geniale immerso nelle
contraddizioni personali ma anche proprie di quella società ossessionata dalla esaltazione della superiorità della razza.
Per il valore delle sue opere e per l´originalità della sua arte assolutamente d´avanguardia e
per il suo stile di vita, la Riefensthal merita almeno un accenno che, penso, possa incuriosire
particolarmente il pubblico femminile.
Oppure si faccia riferimento alla Roma del ventennio fascista, alla monumentalità
celebrativa dello Sport realizzata al Foro Italico nello Stadio dei Marmi (costruito nell´ipotesi di una olimpiade a Roma che non si realizzò per gli eventi bellici) opera dell´architetto Marcello Piacentini ed ai suoi edifici "casti e nudi" divenuti, probabilmente, involontario strumento della persuasione ideologica della riproposta egemonia romana mutuata dalla estetica ellenica.
Pertanto, l´individuo atleta, da protagonista di virtù esemplari, è stato ridimensionato a
strumento di propaganda, così come, d´altra parte, si è esteso insidiosamente il perverso sistema della strumentalizzazione dell´ideale olimpico e dello Sport.
Ne è chiaro esempio la festa di apertura e di chiusura delle moderne olimpiadi, con quelle
cerimonie che tendono sempre più a meravigliare, private ormai completamente di messaggi
simbolici e di contenuti ideali, a favore di coreografie e di spettacoli finalizzati piuttosto allo stupore, in una gara di rappresentatività ormai fine a se stessa, che forse, nelle edizioni più recenti, intende coprire il clima di incombente insicurezza.
Non si può dimenticare, infatti, l´edizione di Monaco ´72 che esordisce nelle cronache
olimpiche come un drammatico sfregio allo " spirito di Olimpia", un emblematico insulto alla
civiltà postmoderna, ne si possono dimenticare le rappresaglie politiche dei boicottaggi delle
olimpiadi successive con la perdita del carattere ecumenico di quello spirito originario votato alla pace universale. Tutto ciò è purtroppo insistentemente attuale e connesso paradossalmente con la sempre più grande visibilità dell´evento olimpico in origine autenticamente filantropico.
Un´altra grande insidia allo spirito olimpico si è fatta avanti nelle olimpiadi moderne ed è
rappresentata dal vergognoso, incontenibile ed immanente fenomeno del doping, che l´estinto
elemento di simboleggiata sacralità delle Olimpiadi non riesce certo a contrastare, che ammanta di sospetto ogni risultato sportivo ed ogni protagonista, determinando lo scempio definitivo dell´ideale di onore e virtù su cui si fondava l´ideale olimpico.
Tutto quanto esposto sembra aver lacerato irreversibilmente i legami fra le Olimpiadi antiche e quelle moderne e quindi anche il modello di Sport proponibile alle nuove generazioni.
Volendo trarre una sintesi di questo fenomeno di alienazione dei moderni giochi olimpici
decubertiani rispetto al modello originario greco-romano, possono essere messe a fuoco ancora
almeno altre due evidenti differenziazioni, basate su concezioni ormai non più sostenibili:
la prima, nasce dalla considerazione che la vittoria era l´unica finalità dell´antica agòne
e solo il suo conseguimento aveva valore: non esisteva il secondo ed il terzo posto consolatori, perché il concetto di consolazione verrà apportato solo successivamente dalla cultura cristiana, mentre era sconosciuto al mondo greco: si consideri quindi che, secondo il pensiero decubertiano, il valore della sola partecipazione, quasi equiparato a quello della vittoria, non avrebbe potuto essere condiviso ai tempi di Olimpia. Consegue, con tutta evidenza, che anche la moderna aspirazione al comportamento tipicamente anglosassone dell´osservanza del fair play, cioè della lealtà sportiva, non avrebbe potuto trovare spazio e nemmeno essere intuito nel mondo greco: ciò non significa che non esistevano regole e comportamenti da osservare ma, piuttosto al contrario, c´era una rigida disciplina gestita dagli Ellanodici, cioè gli analoghi dei moderni arbitri, dotati di mezzi dissuasivi particolarmente espliciti.
La seconda differenziazione, deriva dalla riflessione che l´ossessione moderna del primato
era anticamente insostenibile ed inconsistente, data la diversa concezione che si aveva del tempo. Per i Greci esistevano due elementi simbolici per identificare il tempo: Cronos, era la divinità del tempo per antonomasia che pare connotasse la modalità mutevole e fragile dell´esistenza, di ciò che nasce e che muore, ciò che non è ancora e ciò che non è più ed il presente tuttavia effimero.
L´identificazione era appunto con il mito di Cronos, figlio di Urano e di Gea, che evira il padre con l´intento di depotenziarne il passato nella dimenticanza e ne divora i figli per annullarne il futuro.
L´altro termine era kairòs, divinità semisconosciuta che indicava un evento speciale, cui veniva assegnato un valore qualitativo contrapposto al precedente cui veniva assegnato un valore quantitativo. Ma era Cronos il valore del tempo che i Greci temevano, quello che scandiva la fragilità e la fugacità della vita e che pertanto veniva rifiutato: l´uomo antico ignorava la temporalità e tendeva a legare l´esistenza a qualcosa di sottratto al divenire della storia affidandosi alla divinità, al mito, all´eroe.
L´identificazione con l´eroe rappresentava la fuga dalla insensata successione temporale e
dalla caotica casualità degli eventi, vivendo in un presente divinizzato e pertanto denso di
significato.
Così quei nostri progenitori concepivano il tempo in modo tale per cui ogni olimpiade era un
evento temporale a sé stante, chiuso in un fenomeno cronologico ciclico isolato dagli eventi
precedenti e successivi, come il fenomeno nascita-morte degli individui o l´alternarsi delle stagioni o simbolicamente il ciclo lunare, che non comportava quindi la nozione di divenire, ne
conseguentemente ed evidentemente quella di progresso. Pertanto era privo di significato, ad
esempio, misurare le prestazioni atletiche nelle varie edizioni olimpiche con l´intento di
confrontarle fra loro, per cui l´eroe olimpionico era quel vincitore di quella olimpiade.
Il concetto del divenire di ogni azione umana, inteso come successione temporale continua
e rettilinea degli eventi che sta alla base della moderna nozione di progresso, è una concezione giudaico-cristiana, mentre nell´antichità il divenire era considerato un livello diverso ed inferiore della realtà. E´dalla concezione moderna della realtà che deriva la coincidenza di valore connesso con il progresso e quello di record, non riconosciuti appunto nel mondo greco-romano, in cui peraltro non esisteva alcun sistema di controllo obiettivo dello scorrere del tempo.
Sarebbe quindi ancora più improprio e privo di interesse pretendere di confrontare le
prestazioni degli antichi atleti con quelle dei nostri contemporanei eroi olimpionici, anche se gli storici contemporanei non hanno saputo astenersi dalla tentazione di simili comparazioni. Ad esempio, si sa di un tal Phayllos di Crotone che, durante i giochi Pitici, ma non risulta che abbia mai vinto ad Olimpia, saltò in lungo 55 piedi e che atterrato oltre i limiti della fossa si spezzò una gamba e di un tal Chionis di Sparta che partecipò ad Olimpia vincendo tre volte consecutive dal 664 al 656: saltò in lungo 52 piedi, cioè oltre 15 metri, e si discute sulla ipotesi che una statua celebrativa a Delfo fosse dedicata a lui per celebrare tale prestazione. (Mike Powell, attuale recordman mondiale di salto in lungo, ha saltato 8,95 metri nel 1991!)
Evidentemente si trattava di salti multipli, pur tenendo conto del contributo degli alteres, ( pesi sagomati in pietra o in metallo forniti di manico e di peso variabile da 0,5 fino a 4,5 kg ). E´ anche documentato che lo spartano lanciasse il disco a quasi 100 piedi, cioè oltre 28 metri (un piede delfico era pari a 29,6 cm), ma non si sa di quali dimensioni e di quale peso fosse l´attrezzo data l´assenza di omologazione. Jurgen Schult (Germania dell´Est) è detentore del record mondiale di lancio del disco (peso 2 kg) dal 1986 con metri 74,08.
Di Phaillos si sa che partecipò, a proprie spese, come comandante e proprietario della sua nave, l´unica nave crotonese, l´unica dalla Magna Grecia, alla battaglia di Salamina ( 480 a.C. ), ricevendo dagli ateniesi una statua con iscrizione nell´Acropoli e proprio grazie a quella
documentazione, successivamente, Alessandro Magno premiò la città di Crotone con un cospicuo
bottino di guerra: tanto per rendersi conto della complessa personalità, del valore riconosciuto a questi antichi atleti-eroi e della considerazione sociale di cui godevano.
Nulla si può dire, evidentemente, dei tempi di percorrenza delle corse a piedi nello stadio e delle gare equestri che si svolgevano nell´ippodromo, se non da quanto si può dedurre in modo aleatorio dalle esaltate figurazioni retoriche attribuite alle gesta degli atleti da parte di poeti e cantori accorsi ad Olimpia. Fra le più celebri risultano quelle di Pindaro, per cui ancora oggi i cronisti sportivi fanno uso di quelle sue allegorie quando fanno riferimento ai cosidetti voli pindarici (... veloce come il vento...forte come un toro...ecc. ).
Un´ultima considerazione riguarda i motivi storici che hanno ispirato De Coubertin
nell´intuizione della riproposizione delle Olimpiadi. Oltre all´intento utopico della retorica " pace fra i popoli", oltre all´ideologia della "mens sana in corpore sano" tratta da Giovenale od al concetto di "sport pedagogico" che richiama Vittorino da Feltre, era fortemente sentito il desiderio di rivalutare la considerazione della Francia nei confronti della Prussia e del riunificato impero tedesco.
L´esito della guerra franco-prussiana e l´umiliante disfatta di Sèdan ( 31 agosto-1° settembre
1870 ), cui seguì la resa e la cattura sul campo di Napoleone III, (da ricordare l´intervento del professor Auguste Nelaton) avevano profondamente umiliato la Francia sollecitando lo spirito di rivalsa nazionale nei confronti della Prussia (che dalla guerra vinta annesse l´Alsazia e la Lorena e ricostituì l´Impero Tedesco), esasperando la rivalità fra le due nazioni.
Anche in campo culturale tale rivalità era profondamente sentita e poiché, in quel finire di
secolo, le ricerche in materia di archeologia erano attuali, si gareggiava in priorità ed
importanza di scoperte fra gli studiosi e i ricercatori europei, specie francesi e tedeschi, ma anche inglesi. Il sito archeologico di Olimpia in effetti, nell´ultimo quarto di secolo, era stato scoperto e studiato dal famoso storico ed archeologo tedesco Ernst Curtius (1814-1896 ), conferendo così alla cultura germanica il primato della valorizzazione del sito.
L´idea dell´utilizzo dei giochi di Olimpia da parte del nobile francese era non celatamente
perfusa di spirito revanscista, fortemente sentito nella Francia oltraggiata, per cui inventare la fase moderna dei giochi olimpici in qualche modo rappresentò il tentativo di riequilibrare il prestigio almeno culturale fra le due nazioni.
Nel 1892 alla Sorbona si discusse sul tema " Professionismo e dilettantismo nello sport " cui
seguì nel 1894 il Congresso, sempre a Parigi, da cui nacque la proposta di istituire le moderne
olimpiadi e la fondazione del C.I.O.: fu in tale sede che De Coubertin propose di resuscitare il "mito di Olimpia".
Rimini, 29 Settembre 2014
Dottor Giuseppe Tassani
Relazione per la FEDERSPEV, Presidente la signora Carmen Marini Spanedda, presso l´Ordine dei Medici della Provincia di Rimini.
Riferimento bibliografico principale:
Autori vari: Così splendeva Olimpia. L´arte, gli eroi e gli dei negli antichi giochi olimpici.
Arnoldo Mondadori Editore. Milano1985 Iniziativa della Fondazione Giulio Onesti
Accenno alla topografia di Olimpia.
Il complesso archeologico di Olimpia è situato alla destra del fiume Alfeo, il più grande del
Peloponneso, nel punto di convergenza con il Cladeo suo affluente di destra, che quindi arriva al mare distante 10 km circa. A sud si apre la piana di Olimpia riparata a nord dalla collina di Kronion.
COMPETIZIONI IN OLIMPIA (periodo classico)
Stadio > 192,28 metri
Diaulo = stadio x 2
Dolico = stadio x 7 o x 20
Oplitodromia = corsa in armi ( modernamente sci di fondo + tiro )
Pentatlon = corsa + salto + lancio giavellotto + lancio disco + lotta
Pugilato ( himantes )
Pancrazio = pugilato + lotta
Fonte: Dottor Giuseppe TASSANI - Sezione UNVS "A. Casadei" di Forlì www.unvsromagna.it
cultura, hanno avanzato una proposta, ancora condivisa, di elevato contenuto ideale, ovvero:
confrontarsi nel gioco.
Al gioco è immediatamente connesso, secondo un criterio consueto e convenzionale di
valutazione, quanto banale e superficiale, il principio dello svago e della ricreazione, mentre sfugge che il gioco esprime una vera esigenza biologica che ha finalità compensativa per il mantenimento dell´equilibrio neuro biochimico del nostro organismo utilizzando un meccanismo consumativo.
Tale esigenza è tanto più manifesta nei giovani. Al gioco, secondo la concezione moderna, fanno
riferimento, inoltre, consolidati metodi educativi nonché accertati presidi rivolti alla
conservazione, alla difesa ed al recupero della salute.
Attualmente il gioco ha subito, in ogni caso, un certo grado di banalizzazione rispetto alla
concezione attribuitagli ai tempi di Olimpia.
Anticamente i giochi di Olimpia, infatti, rappresentavano una festa di riconciliazione fra gli
uomini e degli uomini con le divinità; quindi erano perfusi di spirito di fraternizzazione, di pace, non meno che di pagano misticismo e di sacralità. La tregua olimpica ne era l´espressione più elevata, la cui inosservanza era considerata sacrilega. L´occasione olimpica, specie alle origini, rappresentava inoltre, dal punto di vista politico e socio-culturale, il momento in cui le polis nella loro indiscutibile autonomia, le cosidette Città Stato, si riconoscevano come appartenenti alla Grecia come nazione, e rappresentava l´eccellente opportunità per poter confrontare miti, cerimonie religiose, norme giuridiche, esperienze estetiche e l´occasione per proporre possibili future alleanze e concordare una politica filoellenica. I Giochi rappresentarono quindi un potente "mezzo di comunicazione", almeno fino all´epoca della conquista della Grecia da parte di Roma, quando l´informazione e la "propaganda" trovarono canali diversi e più validi per tutto l´impero.
Quei giochi avevano un carattere ed un ruolo devozionale e per questi motivi originari
le olimpiadi antiche, iniziate nel 776 a.C., finirono con la fine del paganesimo e la imposizione, come Religione di Stato, del Cristianesimo, identificato nel Simbolo Niceno (325 d.C.) in contrasto ufficiale con l´Arianesimo e altre eresie. Tuttavia, l´atto formale di tale imposizione, decretato con l´"Editto di Tessalonica" (l´attuale Salonicco, Macedonia) del 380, non dava ancora specifiche indicazioni di pratica attuazione.
Si dovrà arrivare al 391-392, ai " Decreti Teodosiani" dell´imperatore Teodosio Primo il
Grande, ultimo imperatore riconosciuto dell´Impero Romano unificato (cui seguiranno i figli
Onorio in Occidente ed Arcadio in Oriente), decreti che daranno pratica esecuzione all´editto di Tessalonica applicando le norme di proibizione dei culti pagani. Fra questi, con la esplicita richiesta di Ambrogio Vescovo di Milano, sollecitata da Agostino, allora suo ospite, venne inclusa l´abolizione definitiva delle Olimpiadi giunte alla 291esima edizione nel 393: (ma questa non è l´unica versione: si contrappone ad essa l´ipotesi di una loro più tardiva e spontanea e progressiva estinzione, almeno in Olimpia, dovuta alla dilagante corruzione).
Il Cristianesimo, poi, impiegherà secoli per riscoprire il valore del corpo e della fisicità.
A giustificazione di quella storica abrogazione ci furono anche i fatti culminati con la strage
di Tessalonica del 390, quando un governatore di Teodosio nella regione macedone fu linciato dalla folla perché aveva proibito ad un atleta della città di partecipare ai giochi (non olimpici). Teodosio ordinò allora una rappresaglia contro i colpevoli dell´eccidio ma le milizie andarono oltre i limiti dell´ordine impartito dall´imperatore che suonò "uccideteli tutti " intendendo riferirsi, probabilmente, ai soli responsabili di quell´assassinio. La popolazione di Tessalonica fu invitata al circo per assistere ad una gara di bighe: poi, sbarrate le porte d´uscita, i miliziani fecero irruzione fra gli spalti ed assassinarono tutti i 7000 cittadini convenuti.
Ambrogio, venuto a conoscenza di tale barbarie, rimproverò ufficialmente Teodosio, che allora aveva sede imperiale a Milano, minacciandolo di scomunica. L´imperatore per farsi perdonare si presentò nel Natale del 390 in Cattedrale spogliato della porpora, prostrandosi ed umiliandosi pubblicamente mettendo ai piedi del prelato le insegne imperiali. Con tale gesto altamente simbolico, dal 393 lo Stato, per la prima volta, accettava la subordinazione e la dipendenza dalla Chiesa: l´autorità spirituale prevarrà a lungo su quella secolare, in netta separazione fra le "cose terrene" che appartengono all´imperatore e le "cose divine" che sono al di sopra dell´imperatore.
Ma poi la Chiesa ebbe in proprietà anche tante "cose terrene" ed il potere temporale della Chiesa, che ufficialmente si fa iniziare nel 754,(con la "promissio carisiaca" di Pipino il Breve per la vittoria sui Longobardi e dopo altre donazioni carolingie) durerà fino alla breccia di Porta Pia del 22 settembre 1870 con la presa della città di Roma e dell´ultima legazione.
L´Olimpiade antica nata quindi nella accecante luminosità della piana assolata di Olimpia
come festa di avvicinamento dell´uomo alla divinità, finisce adombrata dalla brutalità di quegli avvenimenti, oltre che dalla dilagante corruzione da tempo diffusa fra gli atleti.
C´è chi sostiene che, risorta dopo l´abrogazione della celebrazione del sacro paganeggiante, l´Olimpiade moderna, tuttavia, continui a celebrare il sacro secolarizzato. In realtà, riflettendo sul contenuto di sacralità allora attribuito ai giochi, è intuibile che il "sacro" per gli antichi greci dovesse coincidere con il "bello" identificato nella figura umana come in quella delle loro divinità antropomorfe e trovasse la massima esaltazione proprio nella esecuzione del gioco. Oggi è difficile dire quanto vi sia di sacro nella espressione fisica della competizione ma certamente il corpo umano esprime i più elevati contenuti estetici proprio nella dinamica del gesto atletico.
Nella Grecia antica i giochi erano diffusi e numerosi; quasi ogni città proclamava i propri:
ad Atene i Panatenaici, quelli di Hera ad Argo e poi quelli funebri (nell´Iliade sono descritti i primi giochi funebri indetti da Achille per la morte di Patroclo). Molti giochi godettero di ampia fama come i Delfici, i Pitici, i Nemei, gli Istmici, ma ad Olimpia questi eventi ebbero una dimensione, per così dire, più internazionale. Ad Olimpia accorsero atleti da tutte le località della Grecia, dalle sue colonie estese nel Mediterraneo e successivamente da Roma e dall´Impero dopo la dominazione romana ufficializzata nel 146 a.C. (Battaglia di Corinto). Anche gli imperatori Tiberio e Nerone parteciparono alle gare ma già era ormai invalsa la presenza di atleti professionisti che snaturò progressivamente lo spirito antico di Olimpia.
In origine, invece, i professionisti erano esclusi dalle gare, così come gli schiavi e i barbari; fra questi ultimi anche i Macedoni, almeno fino alla battaglia di Cheronea del 338 a.C. che segnò la fine del periodo classico e della libertà ellenica dopo di che la Grecia passò sotto il dominio macedone: ne fa testimonianza il philippeion, una struttura votiva voluta da Filippo II, padre di Alessandro Magno ed i resti sono tuttora visibili all´interno dell´area sacra di Olimpia.
Anche le donne erano escluse dalle competizioni, né potevano presenziare ai giochi: solo la
sacerdotessa di Demetra assisteva alle gare. Potevano essere premiate ma non presenziare
solo le donne proprietarie dei cavalli vincitori nelle corse equestri. La principessa di Sparta
Cinisca fu la prima donna a vincere l´alloro olimpico utilizzando un team di cavalieri maschi nelle edizioni successive del 396 e del 392 a.C. senza poter assistere alle gare.
Il protagonista di Olimpia era l´individuo, non il collettivo. Era il cittadino che con le sue
gesta glorificava la polis, alla pari dell´uomo pubblico colto e saggio che con la dialettica si confrontava nell´agorà. E´ verosimile che proprio la pratica insistita e sistematica del confronto, cioè dell´agonismo esperito sia sul piano fisico quanto su quello dialettico-intellettuale, abbia rappresentato la spinta, il trigger alla progressione di quella cultura ellenica che, in ultima analisi, sta alla base della civiltà occidentale, ma in generale alla base di ogni progresso di civilizzazione.
Esiodo dettava come norma dell´etica greca: " imparare per mezzo della sofferenza" per cui la sofferenza intesa come fatica, dolore, connessi con l´agòne, interpretato come esemplificazione e parafrasi della vita, rappresentava la tensione del cittadino virtuoso verso la perfezione e la soddisfazione del desiderio di onore e di buona reputazione presso la polis.
L´atleta di Olimpia riceveva grande fama in tutta la Grecia e non perseguiva finalità compensative di guadagno ma, appunto, cercava e riceveva prestigio sociale attraverso
l´affermazione del senso dell´onore (inteso come reputazione ed identità morale, degenerato poi in pretesa di riconoscimento di onore e di rispettabilità).Onore, quindi, non preteso ma conseguito nel confronto agonistico, a sua volta coincidente con il trionfo nella vita civica come affermazione della virtù che presso i Greci antichi significava non solo disposizione a fare il bene, ma anche coraggio, valore militare e desiderio di dimostrare la propria eccellenza (aretè): evidentemente valori che trascendevano il risultato sportivo.
Il vincitore di Olimpia veniva incoronato con il ramo di olivo selvatico raccolto nei boschi
intorno all´Altis, il sancta sanctorum del complesso religioso di Olimpia e, come espressione di massimo onore, la sua immagine veniva immortalata da una effige scolpita nella pietra dai più grandi artisti convenuti. Nelle edizioni moderne, la vittoria non è più occasione di sintesi fra arte e sport, se non fosse per il valore, tanto rappresentativo quanto impersonale, della medaglia.
La vittoria conseguita nelle olimpiadi moderne ha assunto, piuttosto, finalità mirate alla
persuasione retorica. Si pensi all´Olimpiade di Berlino del 1936 immortalata nel film
documentario in bianco e nero intitolato "Olimpia" di Leni Riefensthal, famosa regista, cultrice dell´estetica nazista, grande artista, personaggio complesso e geniale immerso nelle
contraddizioni personali ma anche proprie di quella società ossessionata dalla esaltazione della superiorità della razza.
Per il valore delle sue opere e per l´originalità della sua arte assolutamente d´avanguardia e
per il suo stile di vita, la Riefensthal merita almeno un accenno che, penso, possa incuriosire
particolarmente il pubblico femminile.
Oppure si faccia riferimento alla Roma del ventennio fascista, alla monumentalità
celebrativa dello Sport realizzata al Foro Italico nello Stadio dei Marmi (costruito nell´ipotesi di una olimpiade a Roma che non si realizzò per gli eventi bellici) opera dell´architetto Marcello Piacentini ed ai suoi edifici "casti e nudi" divenuti, probabilmente, involontario strumento della persuasione ideologica della riproposta egemonia romana mutuata dalla estetica ellenica.
Pertanto, l´individuo atleta, da protagonista di virtù esemplari, è stato ridimensionato a
strumento di propaganda, così come, d´altra parte, si è esteso insidiosamente il perverso sistema della strumentalizzazione dell´ideale olimpico e dello Sport.
Ne è chiaro esempio la festa di apertura e di chiusura delle moderne olimpiadi, con quelle
cerimonie che tendono sempre più a meravigliare, private ormai completamente di messaggi
simbolici e di contenuti ideali, a favore di coreografie e di spettacoli finalizzati piuttosto allo stupore, in una gara di rappresentatività ormai fine a se stessa, che forse, nelle edizioni più recenti, intende coprire il clima di incombente insicurezza.
Non si può dimenticare, infatti, l´edizione di Monaco ´72 che esordisce nelle cronache
olimpiche come un drammatico sfregio allo " spirito di Olimpia", un emblematico insulto alla
civiltà postmoderna, ne si possono dimenticare le rappresaglie politiche dei boicottaggi delle
olimpiadi successive con la perdita del carattere ecumenico di quello spirito originario votato alla pace universale. Tutto ciò è purtroppo insistentemente attuale e connesso paradossalmente con la sempre più grande visibilità dell´evento olimpico in origine autenticamente filantropico.
Un´altra grande insidia allo spirito olimpico si è fatta avanti nelle olimpiadi moderne ed è
rappresentata dal vergognoso, incontenibile ed immanente fenomeno del doping, che l´estinto
elemento di simboleggiata sacralità delle Olimpiadi non riesce certo a contrastare, che ammanta di sospetto ogni risultato sportivo ed ogni protagonista, determinando lo scempio definitivo dell´ideale di onore e virtù su cui si fondava l´ideale olimpico.
Tutto quanto esposto sembra aver lacerato irreversibilmente i legami fra le Olimpiadi antiche e quelle moderne e quindi anche il modello di Sport proponibile alle nuove generazioni.
Volendo trarre una sintesi di questo fenomeno di alienazione dei moderni giochi olimpici
decubertiani rispetto al modello originario greco-romano, possono essere messe a fuoco ancora
almeno altre due evidenti differenziazioni, basate su concezioni ormai non più sostenibili:
la prima, nasce dalla considerazione che la vittoria era l´unica finalità dell´antica agòne
e solo il suo conseguimento aveva valore: non esisteva il secondo ed il terzo posto consolatori, perché il concetto di consolazione verrà apportato solo successivamente dalla cultura cristiana, mentre era sconosciuto al mondo greco: si consideri quindi che, secondo il pensiero decubertiano, il valore della sola partecipazione, quasi equiparato a quello della vittoria, non avrebbe potuto essere condiviso ai tempi di Olimpia. Consegue, con tutta evidenza, che anche la moderna aspirazione al comportamento tipicamente anglosassone dell´osservanza del fair play, cioè della lealtà sportiva, non avrebbe potuto trovare spazio e nemmeno essere intuito nel mondo greco: ciò non significa che non esistevano regole e comportamenti da osservare ma, piuttosto al contrario, c´era una rigida disciplina gestita dagli Ellanodici, cioè gli analoghi dei moderni arbitri, dotati di mezzi dissuasivi particolarmente espliciti.
La seconda differenziazione, deriva dalla riflessione che l´ossessione moderna del primato
era anticamente insostenibile ed inconsistente, data la diversa concezione che si aveva del tempo. Per i Greci esistevano due elementi simbolici per identificare il tempo: Cronos, era la divinità del tempo per antonomasia che pare connotasse la modalità mutevole e fragile dell´esistenza, di ciò che nasce e che muore, ciò che non è ancora e ciò che non è più ed il presente tuttavia effimero.
L´identificazione era appunto con il mito di Cronos, figlio di Urano e di Gea, che evira il padre con l´intento di depotenziarne il passato nella dimenticanza e ne divora i figli per annullarne il futuro.
L´altro termine era kairòs, divinità semisconosciuta che indicava un evento speciale, cui veniva assegnato un valore qualitativo contrapposto al precedente cui veniva assegnato un valore quantitativo. Ma era Cronos il valore del tempo che i Greci temevano, quello che scandiva la fragilità e la fugacità della vita e che pertanto veniva rifiutato: l´uomo antico ignorava la temporalità e tendeva a legare l´esistenza a qualcosa di sottratto al divenire della storia affidandosi alla divinità, al mito, all´eroe.
L´identificazione con l´eroe rappresentava la fuga dalla insensata successione temporale e
dalla caotica casualità degli eventi, vivendo in un presente divinizzato e pertanto denso di
significato.
Così quei nostri progenitori concepivano il tempo in modo tale per cui ogni olimpiade era un
evento temporale a sé stante, chiuso in un fenomeno cronologico ciclico isolato dagli eventi
precedenti e successivi, come il fenomeno nascita-morte degli individui o l´alternarsi delle stagioni o simbolicamente il ciclo lunare, che non comportava quindi la nozione di divenire, ne
conseguentemente ed evidentemente quella di progresso. Pertanto era privo di significato, ad
esempio, misurare le prestazioni atletiche nelle varie edizioni olimpiche con l´intento di
confrontarle fra loro, per cui l´eroe olimpionico era quel vincitore di quella olimpiade.
Il concetto del divenire di ogni azione umana, inteso come successione temporale continua
e rettilinea degli eventi che sta alla base della moderna nozione di progresso, è una concezione giudaico-cristiana, mentre nell´antichità il divenire era considerato un livello diverso ed inferiore della realtà. E´dalla concezione moderna della realtà che deriva la coincidenza di valore connesso con il progresso e quello di record, non riconosciuti appunto nel mondo greco-romano, in cui peraltro non esisteva alcun sistema di controllo obiettivo dello scorrere del tempo.
Sarebbe quindi ancora più improprio e privo di interesse pretendere di confrontare le
prestazioni degli antichi atleti con quelle dei nostri contemporanei eroi olimpionici, anche se gli storici contemporanei non hanno saputo astenersi dalla tentazione di simili comparazioni. Ad esempio, si sa di un tal Phayllos di Crotone che, durante i giochi Pitici, ma non risulta che abbia mai vinto ad Olimpia, saltò in lungo 55 piedi e che atterrato oltre i limiti della fossa si spezzò una gamba e di un tal Chionis di Sparta che partecipò ad Olimpia vincendo tre volte consecutive dal 664 al 656: saltò in lungo 52 piedi, cioè oltre 15 metri, e si discute sulla ipotesi che una statua celebrativa a Delfo fosse dedicata a lui per celebrare tale prestazione. (Mike Powell, attuale recordman mondiale di salto in lungo, ha saltato 8,95 metri nel 1991!)
Evidentemente si trattava di salti multipli, pur tenendo conto del contributo degli alteres, ( pesi sagomati in pietra o in metallo forniti di manico e di peso variabile da 0,5 fino a 4,5 kg ). E´ anche documentato che lo spartano lanciasse il disco a quasi 100 piedi, cioè oltre 28 metri (un piede delfico era pari a 29,6 cm), ma non si sa di quali dimensioni e di quale peso fosse l´attrezzo data l´assenza di omologazione. Jurgen Schult (Germania dell´Est) è detentore del record mondiale di lancio del disco (peso 2 kg) dal 1986 con metri 74,08.
Di Phaillos si sa che partecipò, a proprie spese, come comandante e proprietario della sua nave, l´unica nave crotonese, l´unica dalla Magna Grecia, alla battaglia di Salamina ( 480 a.C. ), ricevendo dagli ateniesi una statua con iscrizione nell´Acropoli e proprio grazie a quella
documentazione, successivamente, Alessandro Magno premiò la città di Crotone con un cospicuo
bottino di guerra: tanto per rendersi conto della complessa personalità, del valore riconosciuto a questi antichi atleti-eroi e della considerazione sociale di cui godevano.
Nulla si può dire, evidentemente, dei tempi di percorrenza delle corse a piedi nello stadio e delle gare equestri che si svolgevano nell´ippodromo, se non da quanto si può dedurre in modo aleatorio dalle esaltate figurazioni retoriche attribuite alle gesta degli atleti da parte di poeti e cantori accorsi ad Olimpia. Fra le più celebri risultano quelle di Pindaro, per cui ancora oggi i cronisti sportivi fanno uso di quelle sue allegorie quando fanno riferimento ai cosidetti voli pindarici (... veloce come il vento...forte come un toro...ecc. ).
Un´ultima considerazione riguarda i motivi storici che hanno ispirato De Coubertin
nell´intuizione della riproposizione delle Olimpiadi. Oltre all´intento utopico della retorica " pace fra i popoli", oltre all´ideologia della "mens sana in corpore sano" tratta da Giovenale od al concetto di "sport pedagogico" che richiama Vittorino da Feltre, era fortemente sentito il desiderio di rivalutare la considerazione della Francia nei confronti della Prussia e del riunificato impero tedesco.
L´esito della guerra franco-prussiana e l´umiliante disfatta di Sèdan ( 31 agosto-1° settembre
1870 ), cui seguì la resa e la cattura sul campo di Napoleone III, (da ricordare l´intervento del professor Auguste Nelaton) avevano profondamente umiliato la Francia sollecitando lo spirito di rivalsa nazionale nei confronti della Prussia (che dalla guerra vinta annesse l´Alsazia e la Lorena e ricostituì l´Impero Tedesco), esasperando la rivalità fra le due nazioni.
Anche in campo culturale tale rivalità era profondamente sentita e poiché, in quel finire di
secolo, le ricerche in materia di archeologia erano attuali, si gareggiava in priorità ed
importanza di scoperte fra gli studiosi e i ricercatori europei, specie francesi e tedeschi, ma anche inglesi. Il sito archeologico di Olimpia in effetti, nell´ultimo quarto di secolo, era stato scoperto e studiato dal famoso storico ed archeologo tedesco Ernst Curtius (1814-1896 ), conferendo così alla cultura germanica il primato della valorizzazione del sito.
L´idea dell´utilizzo dei giochi di Olimpia da parte del nobile francese era non celatamente
perfusa di spirito revanscista, fortemente sentito nella Francia oltraggiata, per cui inventare la fase moderna dei giochi olimpici in qualche modo rappresentò il tentativo di riequilibrare il prestigio almeno culturale fra le due nazioni.
Nel 1892 alla Sorbona si discusse sul tema " Professionismo e dilettantismo nello sport " cui
seguì nel 1894 il Congresso, sempre a Parigi, da cui nacque la proposta di istituire le moderne
olimpiadi e la fondazione del C.I.O.: fu in tale sede che De Coubertin propose di resuscitare il "mito di Olimpia".
Rimini, 29 Settembre 2014
Dottor Giuseppe Tassani
Relazione per la FEDERSPEV, Presidente la signora Carmen Marini Spanedda, presso l´Ordine dei Medici della Provincia di Rimini.
Riferimento bibliografico principale:
Autori vari: Così splendeva Olimpia. L´arte, gli eroi e gli dei negli antichi giochi olimpici.
Arnoldo Mondadori Editore. Milano1985 Iniziativa della Fondazione Giulio Onesti
Accenno alla topografia di Olimpia.
Il complesso archeologico di Olimpia è situato alla destra del fiume Alfeo, il più grande del
Peloponneso, nel punto di convergenza con il Cladeo suo affluente di destra, che quindi arriva al mare distante 10 km circa. A sud si apre la piana di Olimpia riparata a nord dalla collina di Kronion.
COMPETIZIONI IN OLIMPIA (periodo classico)
Stadio > 192,28 metri
Diaulo = stadio x 2
Dolico = stadio x 7 o x 20
Oplitodromia = corsa in armi ( modernamente sci di fondo + tiro )
Pentatlon = corsa + salto + lancio giavellotto + lancio disco + lotta
Pugilato ( himantes )
Pancrazio = pugilato + lotta
Fonte: Dottor Giuseppe TASSANI - Sezione UNVS "A. Casadei" di Forlì www.unvsromagna.it